Editoria

Zuckerberg non teme gli inserzionisti in fuga: Fb guadagna miliardi coi “piccoli”

Zuckerberg non ha paura della fuga di inserzionisti da Facebook. Rivela The Information che, durante una videoconferenza al vertice, il Ceo del social più frequentato al mondo abbia affermato di essere certo che, prima o poi, torneranno tutti a pagare per fare pubblicità.

La verità è che il core business di Facebook non sono i grandi marchi ma le piccole e medie imprese che, per aumentare la loro visibilità, investono in strategie di marketing che impattino sui media. In soldoni: il marchio Coca-Cola (uno di quelli che ha annunciato il disimpegno pubblicitario) non ha bisogno di farsi conoscere, essendo già un brand globale, il ristorante sotto casa, invece, sì. E per ogni Coca-Cola che lascia, rimangono migliaia di piccole attività. Insomma, come avrebbe riferito Zuckerberg, le conseguenze sarebbero “reputazionali” e non economiche. E le pressioni che arriverebbero sul fatturato non sarebbero tali da incrinare il futuro dell’impresa.

Una posizione, questa, che già qualche giorno fa era stata presentata da fonti vicine a Nick Clegg. Ex capo dei liberali inglesi, azionista di minoranza del governo tory guidato dall’ormai rimosso David Cameron (che proprio per aver “comprato” follower sui social coi soldi pubblici fu massacrato da giornali e opinione pubblica), oggi altissimo dirigente dell’azienda di Facebook, aveva lasciato intendere che la fuga di capitali e pubblicità sarebbe durata finché lo avrebbe fatto la “moda” della nuova campagna per i diritti civili o, alla peggio, fino alla fine della campagna elettorale presidenziale americana. Al termine delle quali Facebook avrebbe “riabbracciato” gli inserzionisti in fuga.

Che sia una strategia di comunicazione, una pia illusione oppure una solida previsione, sarà solo il tempo a dirlo. Nel frattempo, quello che è palese agli occhi di tutti, è il regime di duopolio che Facebook condivide con Google e che rischia di travolgere interi settori della comunicazione: non sarà soltanto l’editoria o il giornalismo a finire per l’asfissia di introiti pubblicitari.

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