“L’editoria non è un settore come gli altri. Il pluralismo dell’informazione è una risorsa preziosa e primaria, come la sanità, come la scuola. Una risorsa di cui si nutre la democrazia. Di questo deve prendere atto lo Stato, prima di prendere qualsiasi decisione futura”. La pensa così Francesco Zanotti, presidente della Fisc, la federazione italiana dei settimanali cattolici. Ed è a partire da questi principi che ha redatto il documento che verrà presentato al Governo in occasione della prossima riunione plenaria sul Fondo straordinario all’editoria. Ricordiamo: 120 milioni in tre anni, che l’Esecutivo destina al settore.
Quali sono le cose che chiedete? Qual è, dal vostro punto di vista, il modo migliore per impiegare queste risorse?
I punti fermi sono pochi e chiari. Al primo posto c’è l’esigenza di spingere l’innovazione. E quando dico questo mi riferisco soprattutto alla necessità di rendere più fluidi i meccanismi di inclusione tra digitale, carta stampata, web e social network.
Poi?
Dobbiamo pensare alle risorse umane. Ai giovani, in prima istanza. Dobbiamo avere nuovamente la possibilità di tirare dentro forze nuove. Oppure trovare il modo di reintegrare i colleghi in cassa integrazione. E in ultimo, c’è un’altra questione importante.
Quale?
Dobbiamo investire in marketing, in comunicazione. Bisogna fare in modo che il lavoro di tutti i giorni, i prodotti che realizziamo, entrino in maniera più forte sul mercato.
Chi rappresenta la Fisc?
I numeri parlano più delle parole. Siamo 189 testate in Italia, vendiamo più di un milione di copie e calcoliamo un numero di lettori che s’aggira sui tre-quattro milioni. E sa il contributo totale che riceviamo dallo Stato quant’è?
No
Circa 1,8 milioni di euro. In tutto. E stando alle regole che si vanno definendo, dovremmo calcolare un taglio di circa il 40 per cento, su questa cifra, per il prossimo anno. Non è normale.
In che senso non è normale?
In Italia siamo schiacciati dai luoghi comuni. Si dice, per esempio, che siamo l’unico Paese dove per anni lo Stato ha sovvenzionato l’editoria. Che questa non sia la prassi, da altre parti d’Europa.
E perché questo sarebbe un luogo comune?
Perché in realtà l’editoria si finanzia da tutte le parti in Europa. In modo più o meno diretto. Tranne – vado a memoria – in Grecia. E in più, non ci sono altri posti nel vecchio continente, dove il mercato pubblicitario funzioni come funziona da noi.
Che succede da altre parti?
Che c’è un tetto alla pubblicità televisiva e uno spostamento dei capitali degli inserzioni verso la carta stampata che da noi non esiste. Con la Gasparri e poi con le revisioni successive ogni limite è saltato. Ed anche per questo che oggi ci troviamo in una situazione di questo tipo. Ma io non ci sto.
E cosa fa? Cosa chiede?
Che si riconosca il ruolo dei giornali. Che sia rispettato il lavoro che facciamo. Che la si smetta di continuare a dipingere i luoghi dove si fa informazione come i soli luoghi dove si spreca. Bisogna gridare a gran voce che noi siamo una risorsa per il Paese. Non possiamo essere l’unico settore falciato in tale modo.
Ma non crede che sia anche un po’ colpa vostra?
Cosa vuole dire?
Che i giornalisti, gli editori, il mondo dell’informazione in genere, qualcosa ha fatto per meritarsi questa nomea. Lei non riconosce degli errori?
E certo che li riconosco. Il giornalismo italiano appare come schierato. E’ questo che pensa l’opinione pubblica. Che siamo dei tifosi. Che stiamo da una o dall’altra parte dello stadio. E dunque, che non teniamo come obiettivo finale quello della verità. Della ricerca, verifica, e racconto dei fatti, così come stanno. Così come la deontologia c’impone. Paghiamo il fatto che la nostra buona fede non è più scontata.
E come si esce da questo imbuto?
La via è quella che ho tracciato prima. Ma adesso servono i soldi. I soldi per spingere almeno le attività che funzionano.
Quali, ad esempio?
Le cronache locali, per dire. La stampa locale funziona ancora. Anzi: è saccheggiata da quelli che sul web mettono le informazioni lette sulla carta stampata. C’è ancora un lavoro nei territori che vale la pena di continuare a fare. Per poi usare internet come moltiplicatore di contatti. Ma ripeto, servono soldi.
Ma quanti, secondo lei?
Ma guardi, io ho fatto una proposta al Governo: portare almeno a 90 milioni l’attuale fondo diretto all’editoria. Al momento vale circa 50 milioni. E poi, mi consenta un’ultima affermazione.
Prego.
Ci vuole più serietà e più stabilità. Io ho perso il conto degli interlocutori con cui in questi anni ho discusso di queste cose. Mi pare stiamo a sette sottosegretari incontrati negli ultimi anni. Ma come si pensa di risolvere le questioni così? Bisogna costruire un dialogo forte, un processo duraturo, per trattare questioni serie come queste. Ripeto: c’è di mezzo la salute del nostro sistema democratico. C’è di mezzo la libertà.
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