Il comparto editoriale italiano sta per vivere un periodo che potrebbe portare a grandi cambiamenti, sia nella forma che nella sostanza. È ancora presto per dire con certezza cosa succederà di qui a poco, tuttavia la bocciatura alla Camera della proposta di legge del Movimento 5 Stelle che prevedeva l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria e la presentazione del ddl del Pd hanno segnato l’inizio di una fase serrata di discussioni.
Cambiamenti, dicevamo, ma in che direzione? Ce lo siamo fatti spiegare da Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), che fissa subito il primo punto: “la proposta dei 5 Stelle parlava dei contributi all’editoria mentre oggi, con la riforma che spero vada in porto velocemente, si deve parlare di sostegno al pluralismo e alla libertà di informazione. È tutta un’altra musica: non si può fare, nel mondo dell’editoria, di tutta l’erba un fascio”.
Zanotti prosegue spiegando che “la bozza di riforma prevede sostegni alle aziende editrici non profit e alle cooperative di giornalisti e di informazione generalista, cioè chi favorisce il dibattito che sia locale, regionale o nazionale, nell’opinione pubblica. Questa è l’idea. Penso sia per uno Stato un fiore all’occhiello e non una palla al piede. Come avviene in tutti i paesi democratici”.
Nel corso agli ultimi anni, tuttavia, il fondo per il sostegno all’editoria è stato tagliato più volte passando da circa 500 milioni di euro a meno di 50. “Quel che è stato fatto, è stato fatto per giuste ragioni”, rileva il presidente della Fisc, “anche se la ‘sforbiciata’ è stata vigorosa’. Bisogna dare il sostegno attraverso rigore ed equità a chi merita, a chi è riconosciuto e riconoscibile. Rigore, cioè essere rigorosi nell’assegnare i contributi, ed equità, ossia trattare situazioni simili nella stessa maniera: non fare figli e figliastri, come invece accadeva con la vecchia normativa. Mi auguro che si vada in questa direzione, noi lo diciamo da lungo tempo”.
L’ipotesi di riforma del comparto sembra andare in questa direzione, ma quali sono i principi più vicini alla linea della Fisc? Zanotti ritiene che “uno dei principi che passeranno sarà quello contributo in base alle vendite reali piuttosto che sulla tiratura, e questo ci vede assolutamente favorevoli. Un altro punto su cui siamo assolutamente d’accordo è favorire chi è presente nel mercato sia con la carta stampata che online, cioè quei giornali che non si precludono a nessun pubblico. Su questo noi siamo attivi da molto tempo”.
Un punto su cui si batte da tempo la federazione dei settimanali cattolici riguarda la consegna dei periodici agli abbonati. Il cosiddetto Piano Poste che stava per entrare in vigore avrebbe introdotto la consegna a giorni alterni per quotidiani e riviste in circa 250 piccoli Comuni italiani. Il piano, anche grazie all’impegno del governo, è stato sospeso fino al 31 dicembre, ma cosa succederà nel 2016? “La sospensione per i 250 Comuni che sarebbero stati coinvolti (soprattutto in Piemonte, Lombardia e Triveneto), riguarda solo i prodotti editoriali. Le poste continuano a consegnare i giornali tutti i giorni, quotidiani e settimanali. Dopo aver avuto qualche incontro informale ci dicono di essere disposti a continuare a farlo, ma a che prezzo? Qui si apre il tavolo delle trattative. Noi diciamo un’altra cosa: inutile parlare di riforma dell’editoria e di nuovo sostegno al pluralismo se i giornali diffusi per abbonamento non vengono consegnati. Prima cosa, prima ancora di metterci a parlare della riforma dell’editoria, bisogna garantire la consegna dei giornali in abbonamento”.
Non solo la consegna, c’è anche la questione del prezzo. Zanotti rileva che “in queste condizioni di mercato è insostenibile l’ipotesi che dalla sera alla mattina il prezzo di consegna venga raddoppiato o più che raddoppiato. Noi ragioniamo su questo, ma ricordo anche la direttiva europea che impone il servizio universale a tutti gli stati membri 5 giorni su 7 a parte casi particolari. L’Italia non è un caso particolare perché vengono coinvolti 15 milioni di abitanti che sono il 25% della popolazione, oltre 5.200 comuni su poco più di 8.000: tutto questo distingue i cittadini in due categorie tra quelli di seria A e quelli di serie B. Tra l’altro in questo caso ‘verrebbero bastonati’ quelli di serie B già più svantaggiati perché abitano più lontani dai servizi delle grandi città. Una vera e propria ingiustizia. Noi finché avremo voce continueremo a dire queste cose. Se da una parte con il sostegno al pluralismo si dice che il solo mercato non può essere regolatore dell’informazione, bene comune troppo delicato, così deve valere anche per la posta. Le poste dicono di rimetterci con questo servizio e che bisogna trovare un’altra soluzione, ma c’è un bene sociale che va al di là dei bilanci fatti solo di cifre”, conclude il presidente della Fisc.
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