Youtube sta prendendo (anche) la strada di Spotify. La piattaforma di condivisione video ha siglato un accordo con Warner Music e sta trattando con Universal e Sony per accaparrarsi i diritti per lo streaming di musica da erogare agli utenti con una duplice modalità: gratis con pubblicità oppure ad abbonamento e senza interruzioni di sorta. Insomma il modello portato in auge da Spotify. Se troverà in tempi stretti l’accordo il servizio dovrebbe essere inaugurato in estate. La musica su YouTube è uno dei contenuti preferiti dagli utenti, i video musicali vanno per la maggiore, sia quelli ufficiali sia quelli pubblicati dagli utenti (spesso senza autorizzazione degli autori). Risorsa preziosa per vedere videoregistrazioni amatoriali dei concerti e per scoprire nuova musica grazia al servizio di suggerimenti automatici in base a quel che si è visto. Una recente ricerca realizzata da Nielsen ha svelato che la piattaforma è lo strumento più utilizzato dai teenager statunitensi (il 64%) per informarsi su quanto offre il mercato e scoprire nuovi artisti. Le major discografiche si sono accorte da tempo del fenomeno e hanno aperto canali ufficiali per molti gruppi e cantanti. Finora però il modello di business per rendere sostenibile la presenza ufficiale è stato unicamente la pubblicità. Ora invece si cambia. L’attrattiva dello streaming, non solo per gli utenti ma soprattutto per l’industria, aumenta progressivamente. Il grande merito va riconosciuto al servizio Spotify che ha saputo costruire un meccanismo freemium che in molti mercati viene premiato dalle sottoscrizioni a pagamento. Al momento l’impatto numerico sul fatturato della musica è ancora minimo ma ci sono segnali evidenti che in certe circostanze è vincente e se la ripresa (per la prima volta in crescita dopo anni) non è ancora attribuibile a piattaforme come Spotify, per il futuro le prospettive sono buone. In alcuni Paesi, soprattutto nordeuropei, sono molti gli utenti che scelgono di pagare per avere qualche servizio in più (e qualche pubblicità in meno). In Norvegia ad esempio, dove lo streaming ha trainato la crescita del 7% della musica digitale rispetto all’anno precedente. O in Olanda, dove la musica digitale è cresciuta come da nessun’altra parte in Europa (+66%) e dove Spotify ha superato per traffico anche Pirate Bay. E al banchetto dello streaming si sono sedute e stanno pasteggiando anche le major che dal 2008 (anno di nascita del servizio) hanno incassato 500 milioni di euro e altrettanti ne pagherà nel solo 2013. Tra le case discografiche Warner dichiara che un quarto del fatturato digitale proviene dallo streaming. E Spotify è solo l’attore più vistoso al momento, ma dietro ci sono altre realtà emergenti o simili (come Pandora che negli Usa rappresenta da sola l’8% degli ascolti via radio). Anche Apple nei giorni scorsi ha lanciato un segnale che forse va nella stessa direzione, anche se è ancora difficile da decifrare, rendendo disponibile allo streaming gratuito il nuovo album di David Bowie. Un libero ascolto (unico vincolo sentire l’opera integralmente, senza salti avanti o indietro) prima della commercializzazione dell’album sotto forma di download o cd. Anche in Italia l’ascolto senza download dà segnali positivi. Gli ultimi dati diramati da Fimi (Federazione industria musicale italiana) sono incoraggianti: 8 milioni – pari a una crescita del 77% rispetto all’anno precedente – di introiti da pubblicità (secondo il vecchio modello YouTube) e streaming che rappresenta ormai la seconda voce per il fatturato del settore. Il prossimo servizio di streaming musicale freemium è solo l’ultima mossa di Google per presidiare l’offerta di note digitali. Google Play è il negozio online di musica digitale, e per il momento offre solo download, in questo senso lo streaming freemium di YouTube completerebbe l’offerta. Non fosse che anche per Play, Google sta trattando con le major per i diritti di streaming per portare la musica in abbonamento su dispositivi mobili. D’altronde la grande G è rimasta sempre un po’ indietro sull’offerta legittima di canzoni, senza storia il confronto con iTunes o con Amazon, sorpassata da Spotify nella ricerca di nuovi modelli ora è costretta a inseguire. Certo che con la disponibilità di liquidi da investire per l’acquisizione dei diritti che ha e con la base utenti garantita da YouTube (800 milioni di utenti attivi al mese secondo gli ultimi dati) l’occasione per recuperare un po’ del terreno perduto c’è.
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