“Cent’anni di solitudine nell’era dei social network, non abbiamo più amici”, titola Repubblica un’intera pagina del 14 marzo
L’articolo parte da alcune fresche ricerche condotte negli Usa, in particolare uno studio della Brigham Young University dello Utah – appena pubblicato sul magazine Perspectives in Psycological Sciences – basandosi su un campione vastissimo, ben 3 milioni di persone, evidentemente nella stragrande maggioranza giovani. Nerissimi i risultati: il senso di solitudine tra gli adolescenti sta crescendo a ritmo vertiginoso e sta diventando un fattore di rischio per la salute. Stando alla ricerca, infatti, il rischio di mortalità derivante dalla solitudine è maggiore del 14 per cento sulla media, a fronte, ad esempio, del 7 per cento da ricondurre all’obesità. E tutto ciò proprio nell’era dei social network, del villaggio globale, della rivoluzione digitale che in teoria dovrebbe allargare a dismisura i confini nei contatti.
Di questo vero e proprio sos parliamo con lo psicoterapeuta Michele Rossena, animatore dell’Istituto per le Scienze Umane di Napoli. Trent’anni di impegno tra scuole e lavoro clinico sulle dipendenze, Rossena ha da poco cominciato una ricerca sul campo – monitorando molti giovani delle cinque province campane – che ha come tema proprio “Web e solitudine”.
“Eravamo abituati alle dipendenze da droghe e alcol, ma ora in testa a tutte c’è proprio il web. I giovani si stanno intrappolando nella rete”.
Da quando il fenomeno è così acuto?
“Da almeno cinque anni registro il sorpasso. E il fenomeno non mi sembra affatto attenuarsi, anzi è in aumento. Le istituzioni se ne sono accorte, stanno facendo qualche timido tentativo di sensibilizzazione ma sono ancora gocce nel mare. E poi c’è molta ipocrisia”.
In che senso?
“Basta pensare a qualche campagna sul gioco d’azzardo, appena accennata. Ma poi le sale gioco sono sempre lì, nessun effettivo provvedimento per arginare le slot. E figuriamoci una sensibilizzazione sul web, quando sono proprio le scuole, e lo saranno sempre di più, le porte d’ingresso, i portali è il caso di dire, per l’utilizzo sempre più spinto di computer e tablet nelle aule”.
Del resto lo stesso governo Obama pare orientato all’introduzione obbligatoria del digitale nelle scuole…
“Alla fine è tutta una questione economica, come quasi sempre. Si tratta di interessi giganteschi, e soprattutto di modelli culturali, anzi non culturali, da inculcare. Per creare generazioni uniformate, omologate, eserciti di consumatori inconsapevoli e massificati. Devi pensarla così, devi consumare quel che ti viene imposto, se non hai l’ultimo modello di quel telefonino e di quel i pad non vali. Non conti niente in questa società del sembrare, dell’apparire, un numero tra tanti, senza più alcuna identità”.
Ma torniamo alla solitudine e alle dipendenze.
“Fino a una quindicina d’anni fa si parlava unicamente di tossicodipendenza, come piaga fra i giovani. Nasceva da uno scompenso, una mancanza, un vuoto, la difficoltà se non impossibilità di relazionarsi con la realtà esterna. La web dipendenza segue sullo stesso percorso: non riesco ad affrontare la realtà, ho paura a creare rapporti con gli altri, devo chiudermi nel mio guscio, in un mondo virtuale, in tanti amici e conoscenti che contatto in rete. Copro tutta la mia insicurezza, le mie incertezze, la mia mancanza di comunicazione attraverso una serie di segmenti virtuali di comunicazione, i messaggini, whatsup, i followers e via internettando. Si tratta di esistente schizoidi, perchè tali realtà virtuali sono il perfetto contrario di una vita di relazione, con fisiologici contatti umani con le persone, con tutto l’universo di emozioni che è la base fondante per la crescita. Che invece viene del tutto tagliata. Basta vedere gruppi di ragazzi nei locali, al bar, in discoteca: dicono ogni tanto delle cose ma non parlano, smanettano col tablet, testa in giù, dita arroccate sulla tastiera, raramente si guardano negli occhi, caso mai uno ti rivolge la parola e tu chatti…”
Qual è l’eta più critica?
“Quella dell’adolescenza, tra i 13 e i 17-18. Ma oggi il fenomeno si sta spostando anche più avanti, siamo in presenza molto spesso di quella che chiamo “tarda adolescenza” e cioè il fatto che, spesso prendendo a pretesto motivi pur reali come la difficoltà di trovare lavoro, i giovani tendono comunque a rinchiudersi subito, si arrendono prestissimo, sempre più dentro le loro quattro pareti di web spinto”.
Anni fa le cronache parlavano di una sorta di emergenza giovanile in Giappone, molti casi di suicidi tra adolescenti, ormai diventati quasi dei reclusi nei loro mondi virtuali e nella concreta impossibilità di affrontare più il mondo esterno…
“Proprio così. E noi al solito ci stiamo arrivando, a quelle patologie. Siamo di fronte ad adolescenti che hanno la possibilità di navigare 24 ore al giorno, tutti i giorni, in mari virtuali, dove non esistono dolore, rabbia, sofferenza, impegno, emozioni. Tutto viene come cloroformizzato, quasi annullato. Si crea un vero e proprio tappo emotivo che impedisce ogni forma di crescita, di maturazione del carattere e della personalità. Tutto viene praticamente imbalsamato. Viene a mancare l’humus, il concime dove si dà la possibilità di ogni sviluppo. Tutto raso al suolo. E poi la ricostruzione diventa sempre più lontana, difficile, alla fine quasi impossibile. Senza dolore, senza frustruzioni, senza insuccessi non c’è alcuna crescita. E per non soffrire oggi, non avrò più la possibilità di avvertire le emozioni, le sensazioni, i sentimenti”.
Un mondo di automi, un esercito di omologati, torniamo al 1984, in pieno Orwell…
“Esatto. E’ quel tipo di cittadini-consumatori che vuole il Dio denaro, che esige la società spinta dei consumi, della fruizione coatta. Una sottomissione acritica nei confronti delle logiche del mercato, di questo mercato. E’ un mondo che ci rende sempre più soli, asserragliati in una sorta di fortino della sopravvivenza”.
Un’emotività del tutto penalizzata, tra moltissimi giovani dell’era digitale, quindi. E il livello culturale, secondo lei, tiene o no?
“Per niente. Fino a una decina d’anni fa vedevo parecchi giovani in occasione di iniziative culturali. Oggi quasi il deserto. Per spiegarci: mentre fluiscono, via web, mari di notizie, di informazioni, un vero oceano cognitivo, c’è sempre più deserto emotivo e culturale, manca la voglia di andare oltre, di approfondire, di conoscere oltre la mera superficie”.
Dai villaggi globali alle solitudini. E nel mezzo, caso mai, una sorta di villaggio dove “tutti sanno tutti di tutti”, come osserva l’antropologo Marino Niola.
“Esattamente così, basta vedere l’ultima versione di Whatsapp. Tutti modi per avallare una sorta di chiusura verso la vita. L’illusione di una condivisione. Perchè le comunità virtuali nascono teoricamente per condividere tutto, ma in realtà è un’illusione, non c’è niente, tu finisci per scavare sempre dentro il tuo deserto di solitudine. Cosa crea l’illusione? La velocità della comunicazione, il credere che con il clic io posso interagire con centinaia e centinaia di persone, una sorta di onnipotenza della vita. Un senso di potere e di onnipotenza, una convinzione di superare i limiti dei rapporti normali, reali, fisiologici fra persone, e invece andare oltre, più veloce…”
Un’illusione che forse dà anche il tweet, il comunicare sincopato, tutto il pensiero in 140 battute…
“Il tweet può essere una modalità rapida di comunicazione. Può servire in alcune circostanze. Ma se diventa una modalità espressiva costante, siamo di nuovo al deserto…”
Nei nostri villaggi dove tutti sanno tutto di tutti c’è anche chi non ne può più, forse vuol uscire dalla dipendenza, o almeno vuol far perdere le sue tracce. E così sono fresche le trovate di Split e Coak, che servono appunto quando sul web vuoi sparire, almeno per un po’, forse una pausa di riflessione.
“Ma ricadiamo sempre nella stessa trappola, non ne usciamo certo, quindi siamo ai confini della patologia. Perché ricorriamo ad altre tecniche per uscire da una rete che più tecnicistica, e priva di vita, non si può”.
Abbiamo sempre parlato di giovani, di adolescenti. Ma queste dipendenze sono ben diffuse anche tra gli adulti, o no? Si sente parlare di “vedove del computer”, vite digitali ormai quasi prive di contatti affettivi nello stesso nucleo familiare.
“Certo, se il fenomeno dilaga tra i giovani, è ben presente tra adulti e genitori. Anche se la vita lavorativa costringe a rapporti e relazioni, la solitudine di fondo resta, più cementata che mai. Metti il pilota automatico, quando vai al lavoro, e via. Puoi anche avere una vita di relazione, per così dire coatta, obbligata dal tuo stesso lavoro; ma i rapporti, se non solo fertili, nutritivi, sono ben poca cosa”.