Biglietto unico di andata senza ritorno, destinazione: Irlanda.
Eh sì, l’isola di smeraldo sembra essere divenuta il paese dove il tanto verde che la circonda, trasforma davvero le speranze in realtà.
Ma vediamo quali sono le aziende che hanno intrapreso la strada della delocalizzazione e soprattutto i motivi che ci sono dietro questa scelta.
L’ultima mossa in ordine di tempo, è quella di Yahoo, i cui uffici italiani a partire dal 21 marzo verranno inglobati all’interno di un’unica sede che risponde al nome della dalla società irlandese Yahoo! Emea Limited.
Il trasferimento, che si inserisce nel più generale consolidamento delle operazioni europee di Yahoo!, comporta pertanto che tutti i servizi internet di Yahoo! (Yahoo Mail, Yahoo Messenger, Flickr, Yahoo Answers, Yahoo Toolbar, Yahoo Mappe) verranno prestati secondo la legge irlandese, soprattutto in materia di privacy e tutela dei dati personali, basati sulla direttiva europea.
Ma la società statunitense diretta da Marissa Mayer non è la sola ad avere optato per questa scelta, analogamente hanno agito altri colossi del web come Google, Apple, Twitter, Micorsoft, eBay, Linkedin e tanti altri.
Ora la domanda sul perché di questo esodo di massa sorge spontanea, e la risposta è una sola e corrisponde al’intuibile equazione del risparmio economico.
Ma vediamo di capirci qualcosa di più.
Secondo le analisi di Jim Stewart, esperto di finanza e tassazione d’impresa del Trinity College di Dublino, tutte le società che hanno deciso di trasferire le proprie attività a Dublino e dintorni, beneficiano di fatto di un considerevole “sconto” sulle tasse, ben il 30% in meno rispetto a quanto pagherebbero in Italia.
Prendiamo a esempio una qualsiasi azienda con sede in Irlanda con dipendenti regolarmente inquadrati, ora la società paga le tasse sui dipendenti e sulle strutture al fisco irlandese, come ogni altra azienda.
Gli utili, invece, fanno un giro più complicato, per finire in paesi in cui non sono tassati.
E’ il caso di Google, i cui introiti finiscono dritti dritti nel paradiso fiscale delle Bermuda, il tutto però a norma di legge, grazie a una serie di tortuosi giri che cercheremo di rendere quanto più chiari.
Facciamo un esempio pratico: una società italiana vuole farsi pubblicità su Internet e la compra da Google, che gliela vende attraverso la sua sede irlandese.
Quello che Google guadagna con operazioni come questa andrebbe tassato al 12,5 %, invece, gli utili passano (con un trasferimento tax free) a una società olandese e poi (di nuovo con passaggio esente da tasse) a una seconda società irlandese, sussidiaria di una sede delle Bermuda (dove gli utili d’impresa non vengono tassati).
Tutto ciò ha portato al risparmio di miliardi di euro, che altrimenti sarebbero finiti nelle casse del fisco di Dublino.
Ora tirando le somme chi ci guadagna e chi invece ci perde in questo tourbillon finanziario?
Di sicuro ne escono vincenti gli amministratori delle società migrate verso più felici lidi, paesi come l’Irlanda ottengono un buon tornaconto, se si considera che il tricolore verde bianco e arancione ha attirato ben 700 società americane, che a loro volta danno lavoro a 115 mila irlandesi (su cui pagano miliardi di euro di tasse).
Non va male neanche per l’Olanda, dove si dà lavoro a molti intermediari e i paradisi fiscali incassano cifre consistenti.
E Gli Stati Uniti? Bè anche loro prendono un buon pezzo della torta, perché questi escamotage fiscali danno un vantaggio alle loro aziende, che continuano a dare lavoro e a pagare tasse anche in patria.
Insomma tutti felici? Tutti meno che l’Italia a cui non rimangono neanche le briciole di quello che è stato definito il sistema del “doppio panino olandese-irlandese”.
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