Oggi è previsto l’incontro tra i ministri delle finanze UE e tra i vari argomenti sul tavolo, i socialisti europei vorrebbero anche la famigerata webtax, la tassa sui servizi digitali. O almeno è questo il messaggio contenuto in un appello lanciato da Udo Bullmann, Paul Tang, Mercedes Bresso, Roberto Gualtieri, dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, che pubblichiamo integralmente:
“Non c’è più tempo da perdere. Quando i ministri delle finanze europei si incontreranno domani, farebbero bene ad adottare rapidamente la discussa tassa sui servizi digitali: un’imposta sui profitti diretta alle grandi aziende digitali come Google, Apple, Facebook, Amazon, Booking e Spotify. La sua adozione potrebbe generare fino a 10 miliardi di euro di gettito annui di cui gli Stati hanno tanto bisogno e che sarebbero fondamentali per incentivare una crescita economica sostenibile, creare nuovi posti di lavoro e fornire servizi pubblici essenziali.
Se i cittadini e le piccole imprese pagano le tasse dove vivono e lavorano, la stessa cosa non si può dire delle grandi multinazionali digitali che riescono a cavarsela pagando aliquote irrisorie. Lo scorso marzo, secondo un rapporto della Commissione europea, il settore della tecnologia e comunicazione ha pagato solo il 9,5% delle imposte sui profitti mentre altri settori tradizionali hanno pagato in media il 23%, ovvero più del doppio. Amazon, soltanto nel 2017, ha realizzato ricavi per circa 25 miliardi di euro in Europa, riuscendo a pagare una percentuale di imposte sui profitti pari a zero. O quasi.
È chiaro che la globalizzazione e la digitalizzazione hanno reso obsoleti gli attuali regimi fiscali. Questi, essendo stati concepiti all’inizio del XXI secolo per espletare i bisogni di un’economia tradizionale, non sono ormai più adatti ai bisogni di un’economia sempre più digitalizzata. Inoltre, le diverse normative fiscali a livello nazionale e le conseguenti scappatoie che ne risultano, consentono alle aziende di eludere ed evadere il fisco con estrema facilità. Il famoso scandalo dei Paradise Papers ha mostrato in maniera lapalissiana il gioco di queste aziende e di come riescano a servirsi di questa ‘cacofonia’ normativa tutta europea: impiegando complessi meccanismi, risulta facile per molti trasferire i propri profitti verso paradisi fiscali caratterizzati da aliquote pari a zero o quasi.
Un’abitudine a cui le grandi aziende online tendono molto. Beneficiando di una scarsa presenza fisica in Europa, queste hanno il grande vantaggio di poter scegliere di rimpatriare i profitti nello stato con il regime fiscale più favorevole. Così facendo, Google, Amazon, facebook e molte altre rappresentano ormai la forza pilota di una corsa al ribasso fiscale e di una concorrenza spietata tra gli Stati membri. Finché le regole non verranno cambiate, l’ingiusto gioco della gara fiscale al ribasso andrà avanti. Prendere le dovute misure e fare le necessarie riforme richiede tempo, ma soprattutto leadership: una leadership europea.
Una prima soluzione per allargare il dibattito a livello internazionale è un’iniziativa europea che garantisca che le aziende digitali paghino il dovuto già da domani. L’opzione migliore sul tavolo al momento è quella di adottare l’imposta sui servizi digitali proposta dalla Commissione europea, detta anche web tax, preferibilmente con un tasso del 5% e portata più ampia che, tra le altre cose, comporterebbe entrate derivanti da contenuti digitali come Netflix e come l’e-commerce Amazon ed altri.
La seconda opzione consiste nell’adottare una soluzione temporanea, che entrerebbe automaticamente in vigore qualora i negoziati internazionali in sede OCSE non riuscissero a garantire l’introduzione della web tax. Un compromesso che potrebbe unire le posizioni di Francia e Germania. Tuttavia, è altrettanto necessario ottenere chiare garanzie sull’entrata in vigore della tassa europea entro dicembre 2020 affinchè ciò possa fungere come mezzo di pressione in un processo normativo globale solitamente inefficace. Solo una minaccia imminente e credibile porterà gli Stati Uniti al tavolo dell’OCSE per trovare una soluzione multilaterale contro l’evasione fiscale dell’economia digitale.
Rischiamo di perdere un’importante opportunità che permetterebbe all’UE di risolvere le scorrette pratiche fiscali delle grandi multinazionali digitali. Rinviare una decisione per altri due anni non può più essere un’opzione. Chiediamo misure ed azioni reali per fermare l’ingiustizia fiscale di cui queste aziende beneficiano in Europa.
Chiediamo ai ministri delle finanze europei di fornire una soluzione ora. Garantire la digitalizzazione dell’economia non deve mai costituire un fardello fiscale più pesante per i dipendenti o le piccole medie imprese. È ora che l’Europa recuperi la sua sovranità fiscale“.