Renzi l’aveva promesso a metà aprile 2014, durante la conferenza stampa per il decreto Irpef (quello dei famosi 80 euro): gli avvisi che segnalano i bandi di gara verranno pubblicati solo sui siti web delle amministrazioni appaltanti (e in Gazzetta Ufficiale), e così – spiegò il premier illustrando l’apposita slide – lo Stato “risparmierà 120 milioni di euro l’anno”. Apriti cielo. Editoriali allarmati, le proteste della Fieg – la federazione degli editori – e un pressing sotterraneo convinsero Palazzo Chigi a tornare sui suoi passi, rinviando il passaggio all’online a partire da gennaio 2016.
Il testo impone al governo di rivedere la disciplina “in modo da fare ricorso principalmente a strumenti di pubblicità di tipo informatico”, ma in ogni caso “di prevedere la pubblicazione degli stessi avvisi e bandi in almeno due quotidiani nazionali e in almeno due quotidiani locali, con spese a carico del vincitore della gara”. Quello che avviene tuttora. Una boccata d’ossigeno per i bilanci in sofferenza delle concessionarie di pubblicità. In pratica, una tassa occulta, che però per i piccoli appalti, soprattutto se poco appetibili, rischia di essere inserita nella base d’asta, facendo rientrare dalla finestra l’addebito a carico dello Stato che sembrava uscito dalla porta. Nel 2014 le concessionarie hanno incassato dalla “pubblicità di servizio” circa 110 milioni di euro (erano 86 nel 2013). Quella riferita agli avvisi legali è un po’ più bassa perché nel conto totale vengono considerati altri tipi di pubblicità “istituzionale”: decisioni giudiziarie, aste (che continuano a essere pubblicate sui giornali locali nonostante i tribunali mettano tutto online), iniziative turistiche, culturali etc.
fonte parz: www.dagospia.com
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