È successo negli Usa ad un artista, Shepard Fairey. L’oggetto è il poster Obama con la scritta “Hope”: un’opera pop alla Andy Warhol. Tale creazione è diventata il simbolo della elezioni presidenziali del 2008. Vediamo il viso fiero di Obama, lo sguardo deciso verso una ipotetica meta futura, la scritta “Hope” (speranza) semplice, ma efficace, sullo sfondo, il tutto condito con i colori della bandiera statunitense. Il tutto fece breccia nel animo degli elettori.
Ma il punto è un altro. Fairey, per produrre l’opera, ha lavorato su una foto scattata nel 2006 da un fotografo dell’Associated Press. Allora Obama era ancora un senatore dell’Illinois. Dunque l’opera era suscettibile di denuncia per violazione del diritto d’autore. Fairey ha cercato di “mettere le mani avanti”.
Nel 2009, quando la foto era ormai celebre, ha fatto causa alla Ap. L’artista voleva mettersi al sicuro da eventuali pretese future della agenzia di stampa. Quest’ultima non si fece intimorire e citò l’artista per violazione dei diritti d’autore. Fairey, vedendosi “braccato”, cancellò dei documenti probanti ne produsse degli altri falsi. Inoltre affermò che la genesi dell’opera era indipendente dallo scatto. Tuttavia l’artista e l’Ap, a gennaio del 2011, raggiungono un compromesso per la parte civile della causa, quella relativa al copyright. Il giudice ha condannato Fairey ad una multa di 1,6 milioni di dollari.
Poi è arrivata, l’altro ieri, la condanna penale: 2 anni di libertà vigilata e 300 ore di servizi sociali (oltre al pagamento di 25 mila dollari per le spese legali). La galera è stata scongiurata, nonostante la procura volesse dare un segnale durissimo a che mente al popolo americano. Probabilmente è stata la menzogna e l’imbroglio la parte più grave del reato di Fairey agli occhi della corte, ancora più grave dell’aver usato materiale protetto da copyright.
E infatti Farey si è scusato proprio per aver «violato la fiducia della corte, la cosa peggiore che abbia mai fatto in vita mia».
Soddisfatta l’Ap: «Dopo tanto tempo, energie e sforzi legali siamo finalmente lieti che la questione si sia conclusa. Speriamo che il caso serva a ricordare in modo chiaro l’importanza di un giusto compenso per chi raccoglie e produce materiale giornalistico originale».
Luana Lo Masto
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