Per la Rai quale futuro? L’Upa (Utenti pubblicitari associati), un organismo che rappresenta le più grandi imprese che investono in pubblicità, ne propone uno sulla base di un’indagine condotta da AstraRierche. Lo studio, intitolato proprio con la suddetta domanda, propone una Rai pubblica, ma molto diversa da quella attuale.
Dalla ricerca la Rai ne esce sofferente, mal gestita, senza un futuro certo, senza idee, con format che si ripetono sempre uguali, non più credibile, mortificata per i talenti inespressi e le potenzialità non sfruttate.
Il risultato? Come ha ricordato lo stesso presidente Garimberti, la Rai è ormai ingovernabile.
Mai come in questo periodo il simbolo del cavallo “imbizzarrito e morente” descrive benissimo l’azienda.
Tuttavia non mancano sprazzi di cauto ottimismo. Secondo lo studio la Rai può pensare al futuro sfruttando il suo passato. Stiamo parlando del grande know how accumulato, degli immensi giacimenti e archivi di Rai Teche, nonché della presenza capillare in tutta Italia e del blasone di tv di Stato che ancora regge. Dunque per l’Upa una Rai diversa è possibile, a patto che si “faccia quadrato” e si metta mano ad una ristrutturazione ormai improrogabile.
Passiamo alla cura ovvero alla riforma, consapevoli delle difficoltà. «Se ne parla da sempre, ma non s’è mai realizzata. In Italia non si riforma nulla, figuriamoci la Rai». Facciamo finta di non aver letto la precedente frase e iniziamo a “sognare”.
Per l’Upa la Rai deve restare pubblica, ma riformata dal profondo. Bisogna dotarla di “filtri anti-politica” per evitare malsane e nefaste lottizzazioni. Bisogna sottrarla al Tesoro e consegnarla ad una Fondazione. Dovrà essere rispettato uno statuto che rifletta l’attuale Contratto di servizio con l’obbligo del pareggio di bilancio. I livelli decisionali saranno due: il consiglio di indirizzo e il cda. Il primo avrà funzione di controllo e garanzia (una sorta di Vigilanza) e sarà nominato da soggetti istituzionali come i presidenti di Camera e Senato, dalla Corte Costituzionale, dall’Agcom, e anche dalle regioni, dai comuni, dalle associazioni dei consumatori e persino dalle Università. Il secondo sarà di 5 o massimo 7 membri, nominati dal consiglio di indirizzo, di chiara professionalità, indipendenti e con competenze specifiche. All’interno del cda è previsto un ad, responsabile della gestione dell’azienda nel rispetto delle linee guida dettate dal consiglio di indirizzo e dallo statuto. Infine il presidente, anch’esso nominato dal consiglio di indirizzo, fungerà da raccordo tra quest’ultimo e il cda.
Non finisce qui. C’è il problema del canone: 6 mln di famiglie che lo evadono sono troppe. Per il presidente dell’Upa si potrebbe alleggerire l’evasione allegando la tassa più odiata alla bolletta della luce o alla dichiarazione dei redditi.
Poi per giustificare il pagamento del canone bisognerebbe liberare una rete dalle briglie dell’audience e della pubblicità in modo da favorire un servizio pubblico di qualità e la sperimentazione di nuovi format e linguaggi.
Infine c’è la speranza di un modello inedito di pluralismo “multi-multi”. Si tratterebbe di un’offerta fatta “su misura” dell’utente. Una programmazione distribuita su molteplici piattaforme, con diversi contenuti, stili e target di riferimento. Lo slogan della mission aziendale sarebbe: «quel che voglio, dove voglio, quando voglio».
Una Rai così sarebbe una benedizione per i pubblicitari.
Egidio Negri