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L’Unità è risorta, ecco gli autori del miracolo

Una sfogliatella attesa quasi un anno. E ora calda, fragrante, torna in edicola, per il palato di 250 mila trepidanti lettori. Al varo, ecco le trombe del direttore: “Ci siamo. Il giornale fondato 91 anni fa da Antonio Gramsci è risorto”

In attesa di cherubini e serafini, per ora bisogna accontentarsi dell’enciclica a puntate di Bergoglio, immortalato da una piccola foto in prima pagina. Dove invece troneggia un’immagine polaroid di una Merkel commossa. Gigantismo fotografico anche in seconda e terza pagina (“ragazzi impegnati con orgoglio e passione” a proposito dell’Antimafia capitale) e soprattutto nell’imperdibile focus della quarta e della quinta: mancano solo le note di Beethoven per rendere più plastico il volo a mezza pagina di Djokovic sul green di Wimbledon, il marciapiede di una stazione metro di Roma e la fotonotizia che presto farà il giro del mondo: il premier Renzi impegnato nella “storica firma di intesa tra lo Stato Italiano e la Soka Gakkai International rappresentata dal direttore generale dell’Istituto buddista Tamotsu Nakajima”. Nel menù che segue, potrete ancora gustare un maxi cielo notturno (nero pesto per chi sfoglia, con micro Partenone sullo sfondo più asteroide), e ancora una maxi balconata sgarrupata da “Napoli, l’hinterland a cielo aperto”.

Passiamo ai “contenuti”. Ecco il commento di un addetto ai lavori, Emiliano Fittipaldi, inviato di punta dell’Espresso: “Editoriale di Erasmo D’Angelis, che fino a ieri lavorava a palazzo Chigi. A fianco un pezzo firmato da Matteo Renzi (“l’Italia torna a crescere, le crisi aziendali sono risolte, siamo tornati a farci sentire nella Ue, etc”), poi a pagina 3 un commento di Matteo Orfini, sempre Pd. Lo salto ma trovo i 90 anni di Napolitano (auguri!) raccontati da Umberto Ranieri (sempre Pd) e a fianco intervento sull’agricoltura di Maurizio Martina, ministro Pd. Sfoglio e trovo articolo sulla Grecia di Cosimo Rossi, ex portavoce di Rifondazione, a seguire un pezzo dell’enciclica del Papa e un pezzo sul terrorismo. Firmato da chi? Ma ovviamente da Paolo Gentiloni, altro ministro Pd. Temo che l’Unità, se il modello Pravda sarà quello dominante, richiuderà. Entro Ferragosto”.

Sintesi, concisione. La politica in un tweet. Ecco l’analisi della neo Unità sul caso del giorno: “E’ stato depositato ieri al Tribunale di Napoli il ricorso per l’annullamento del decreto con cui è stata disposta la sospensione dalla carica del neoeletto Presidente della Giunta Regionale della Campania Vincenzo De Luca”. Finito: tutto nelle maiuscole.
Garantisce sul progetto il direttore. “Non sarà solo un bel giornale da leggere e da guardare, ma un grande progetto con grandi orizzonti, un’oasi di buone letture e riflessioni nel caos delle informazioni on line”. Ancora: “Racconteremo l’Italia che fa l’Italia ma non fa notizia”. Stella cometa, ovvio, il Pd, che “è come il Pianeta Terra: è l’unico che abbiamo”. Ma non vogliamo pesare, assicura D’Angelis, sui conti dello stato e prender soldi dalle tasche dei cittadini: “Si fa sul serio. Addio rimborsopoli e non si riceve alcun finanziamento pubblico.

L’Unità naviga nel mare aperto e abbastanza tempestoso del mercato editoriale”. Sono finiti i tempi dei “contributi pubblici”, dei fondi a go go per l’editoria, di cui è stata proprio l’Unità – con gli altri giornali di partito – a usufruire per un quarto di secolo, fin dal 1990: da quell’anno al 2013 per la storica testata oltre 150 milioni di euro, con una media primato di 17 mila euro al giorno!

E’ ora di voltare pagina. Il quotidiano dovrà finanziarsi solo con le vendite e la pubblicità. Assicura l’amministratore delegato, Guido Stefanelli: “con 23 mila copie siamo in pari. E possiamo già contare su un ottimo riscontro pubblicitario, che neanche avrei immaginato, da parte dei player internazionali che chiedono di essere presenti sulle nostre pagine con piani pluriennali”. E il buongiorno, forse, si vede già dal mattino: con 3 paginoni, nel numero di esordio, di Eni (l’ultima di copertina), Poste Italiane e Intesa San Paolo. Nota un esperto di marketing: “Negli anni ’80 molti enti del parastato facevano montagne di pubblicità sul mensile Itinerario di Paolo Cirino Pomicino, all’epoca potente dc e poi ministro del Bilancio. Soldi pubblici per un’iniziativa privata. Il mondo non è cambiato”.

Ma l’Unità, oggi, è in vita “grazie ad un editore entusiasta di esserlo e al Pd che di anni ne ha appena otto ma si è già caricato sulle spalle l’Italia presa in liquidazione”, pennella D’Angelis. Un passato in Rai e al Manifesto, per il neo direttore, e un recente alla guida di “Italiasicura”, la struttura di missione messa in campo da palazzo Chigi per arginare il dissesto idrogeologico, prevenire frane e alluvioni, curare la manutenzione di fogne e acquedotti, occuparsi anche di edilizia scolastica. Ex consigliere regionale della Toscana, il suo nome era rimbalzato anche tra i possibili vertici della protezione civile del dopo Gabrielli. Ma ora c’è il “cantiere Unità”, per evitare frane e disastri come negli ultimi anni.

Si apre un’era, adesso, dopo tante gestioni e non poche tempeste. Sono lontani gli anni – fine ’90 – targati Alfio Marchini, il mattonaro rosso che oggi si candida per il dopo Marino a Roma (le ultime da radio Campidoglio lo danno tra i berlusconiani, ma può andar bene anche per il centro sinistra). E quelli targati Angelucci, la dinasty passata dagli appalti sanitari all’editoria (nel pedigree Libero, il Riformista e, appunto, l’Unità). Passati quelli – inizio 2000 – con una Marilina Marcucci (figlia del re degli emoderivati Guelfo, e sorella dell’attuale renziano di ferro al Senato, Andrea Marcucci) nel motore, a bordo della NIE (Nuova Iniziativa Editoriale) in compagnia di Alessandro Dalai (a quel tempo editore della berlusconizzata Baldini & Castoldi). E trascorsi anche gli anni targati Renato Soru, passato dai business made in Tiscali al governo della Sardegna, con la ciliegina del quotidiano che fu di Antonio Gramsci.

Si schiude un futuro, ora, a base di mattoni. Nella compagine della nuova “Unità srl”, con l’80 per cento fa la parte del leone Piesse, mentre il 19,6 per cento è riconducibile alla Fondazione EYE, acronimo per Europa (l’ex quotidiano della Margherita), Youdem (la sigla dalemiana d’informazione) e Unità, appunto. Meno dell’1 per cento per l’editore in pectore fino a qualche mese fa, Guido Veneziani, che si è poi defilato (per via del fallimento Roto Alba). Editore di magazine come Stop, Vero, Top, Miracoli, Rakam, a quanto pare Veneziani aveva fornito una garanzia fidejussoria da 10 milioni di euro per assicurare al giudice fallimentare il fitto della testata e il successivo acquisto: e potrebbe ancora garantire la produzione, in service, di alcuni speciali tematici. La fidejussione, poi, sarebbe passata alla Piesse (che inizialmente ne aveva prestata una, accessoria, da 4 milioni).

Ma a chi fa capo la Piesse? Per il 60 per cento a Guido Stefanelli, amministratore delegato del gruppo Pessina, e per il 40 per cento allo stesso Massimo Pessina, al timone della dinasty mattonara. Appena balzati agli onori delle cronache, sono subiti partiti i primi attacchi. “Stefanelli è uno degli abituee delle cene elettorali di Renzi”, la prima frecciatina; “la Pessina è sotto i riflettori degli inquirenti per gli appalti dell’Expo di Milano” (ma non indagata), la seconda; e addirittura “farebbe capolino nella lista Falciani dei grandi evasori”, il terzo affondo.
Ma gossip e chiacchiere a parte, vediamo più da vicino il Pianeta-Pessina: intorno alla cui orbita ruoterà il quotidiano fondato, nel ’24, da Antonio Gramsci.

PESSINA CHI? Sessant’anni appena compiuti, è leader nazionale nelle costruzioni e nelle acque minerali. Sul secondo fronte, in pole position i marchi Sangemini (le storiche acque della salute), Norda e Gaudianello. Molto più composito il primo, con l’ammiraglia Pessina Costruzioni impegnata su vari versanti, dalle nuove costruzioni alle ristrutturazioni, dal project financing alle infrastrutture. Negli ultimi anni, l’azienda ha inanellato successi dietro successi, appalti su appalti: non solo strutture sanitarie – specialità di famiglia – ma anche sedi istituzionali e grosse arterie di comunicazione.

Grande attivismo in Lombardia. Fiore all’occhiello il palazzo della Regione Lombardia, un appalto da 200 milioni di euro partorito dalla giunta guidata da Roberto Formigoni. Ottime le performance per la “Milano-Serravalle” e la “Tangenziale est esterna milanese” (Teem), fortemente volute dall’ex numero uno della Provincia di Milano, Filippo Penati, ottimo amico di Massimo Pessina, che gli aveva fatto pervenire un contributo elettorale di 15 mila euro. Da un successo all’altro, eccoci in campo sanitario, con la realizzazione degli ospedali di Garbagnate e Vimercate, nell’hinterland milanese: due project financing che hanno ottenuto l’ok della strategica partecipata della Regione, “Infrastrutture Lombarde”, anch’essa voluta da Formigoni e per anni guidata da Antonio Rognoni, arrestato a marzo 2014 per “associazione a delinquere, truffa, turbativa d’asta e falso”. Nessun problema per gli appalti, tutto ok; come del resto era successo con quelli targati Penati, peraltro uscito dalle bufere giudiziarie.

Dalle bufere eccoci ad una piccola tempesta, una storia antichissima e recentissima al tempo stesso. Quella dell’ospedale di La Spezia, di cui si parla da sempre e arrivata al brindisi solo poche settimane fa, appena prima delle ultime elezioni regionali. Ecco i fatti. Dopo una serie di mancati appalti, di stop and go, di promesse e delusioni, si arriva ad inizio 2014, quando il governo Letta stanzia 120 milioni per la realizzazione della struttura. La Regione guidata dal pd Claudio Burlando indice la gara che contiene una clausola: chi vince si “accolla” il vecchio ospedale Sant’Andrea, stimato circa 25 milioni. Condizione che, forse, disincentiva i concorrenti, visto che al bando dell’Asl numero 5 si presentano otto imprese (una viene esclusa), ma al momento di presentare le offerte – febbraio 2015 – c’è una sola busta: quella della Pessina Costruzioni (gemellata a Coopservice e Psc spa), che ovviamente vince in beata solitudine, addirittura presentando un ribasso irrisorio, pari allo 0,01 per cento. Tutto ok, comunque, certificato dalla firma di Raffaele Cantone: perchè proprio l’Autorità anticorruzione si è pronunciata sulla congruità dell’appalto, visto un ricorso presentato dal consorzio Ccc a fine 2014.

In occasione della fortunata gara, la Pessina Costruzioni ha voluto subito sgomberare il campo da ogni sospetto: querele in arrivo per chi osa mettere in collegamento l’appalto aggiudicato il 22 maggio e il contemporaneo svolgimento dell’assemblea societaria che teneva a battesimo il varo dell’Unità. Vietata, quindi, ogni ombra su quella gara, sui rapporti Pd-Pessina, sul grande attivismo del governatore uscente Burlando nella vicenda, e anche sull’impegno mostrato dal mancato governatore Raffaella Paita. Alle cronache restano solo i pareri dell’ingegnere capo della Asl 5, che parla di “gara un po’ strana” e dell’ex assessore (neanche invitato per la firma dell’appalto) alla sanità, il civatiano Claudio Montalto: “Burlando ha gestito direttamente l’ultima fase dell’ospedale di Felettino”.

Acque recentissime ma già passate, per il colosso Pessina. Che può dedicare nuove energie, ad esempio, all’arte, visto che nel pedigree fa bella mostra il restauro del Museo del Duomo di Milano. Oppure al fronte estero. In particolare quello dell’est. Nel sito del gruppo, infatti, fa altrettanta bella mostra, oltre all’indicazione delle sedi legali, amministrative e operative nazionali – Milano e Roma – quella di Astana, capitale del Kazakstan. Un paese molto caro a Renzi, che l’ha visitato da fresco premier, oltre un anno fa; mentre solo pochi giorni fa ha incontrato il leader kazako Nursultan Nazarbayev all’Expo di Milano, rendez vous passato alle cronache per lo stop in ascensore. Ottima occasione, la rassegna, per consolidare i rapporti economici tra i due paesi, con circa 600 milioni di euro come volume d’affari, ed Eni in pole position per nuove commesse. “E’ questa l’Europa che ci piace – ha commentato il premier Renzi – quella che costruisce ponti e non muri”. E di grandi infrastrutture, appunto, in Kazakstan c’è un grande bisogno.

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