Un conto da brividi per i soci chiamati ad approvare il bilancio 2015 dell’Unità, che per fortuna si chiude dopo i primi sei mesi (dal 30 giugno al 30 dicembre).
Disastroso l’andamento delle vendite, un flop la raccolta pubblicitaria. Eppure l’amministratore delegato della nuova società editrice, “Unità srl”, ossia Guido Stefanelli, per l’esordio aveva suonato le trombe: “con 23 mila copie siamo alla pari. E possiamo già contare su un ottimo riscontro pubblicitario, che neanche avrei immaginato, da parte dei player internazionali che chiedono di essere presenti sulle nostre pagine con piani pluriennali”. Un libro dei sogni rimasto abbondantemente nel cassetto.
Una cifra iperbolica, quota 23 mila copie, in un mercato della carta stampata in stato comatoso e con un prodotto ben poco appetibile da offrire ai lettori (quelli storici, affezionati però a ben altra “Unità”; e i possibili nuovi, ai quali occorreva offrire un prodotto di altra caratura). Eppure qualche conticino della massaia i Renzi boys l’avevano fatto: si può contare su uno zoccolo duro, le settemila sezioni Pd sparse in tutta Italia. Forse non 1 sezione 1 abbonamento, ma quasi. Invece, in totale, poche centinaia di sottoscrizioni.
Come fronteggiare – con vendite, abbonamenti e pubblicità al lumicino – le ingenti uscite, le ineliminabili voci di spesa? Una vera zavorra le 60 mila – pare – copie di tiratura ufficiale, destinate in gran parte al macero. E cominciano a pesare i 30 giornalisti, cifra già iper ridotta rispetto all’organico originario ereditato dell’ultima gestione.
A questo punto, le prime preoccupazioni dell’amministratore Stefanelli, del direttore Erasmo D’Angelis – dal canto suo esperto in catastrofi ed emergenze ambientali – e soprattutto del premier Renzi, che nel progetto aveva deciso di mettere la faccia, la firma (la rubrica della domenica dove parla con i lettori e dà pillole del suo Pensiero) e i soldi.
Soldi che vanno, soldi che arrivano. E’ stato un vero cadeau, pochi mesi fa, l’arrivo nelle casse del giornale di 107 milioni di euro, grazie ad una legge del 1998, partorita dal governo ulivista di Romano Prodi, che garantiva il ripiano dei debiti per i giornali di partito. Avendo l’Unità accumulato un gigantesco “rosso” con le banche, quei buchi sono stati così ripianati: ossia attraverso il danaro dei contribuenti. E sotto l’attenta regia dell’inossidabile tesoriere Ugo Sposetti che si è sempre vantato di quella abilissima operazione: “Sono stato ben bravo! Una società mi avrebbe dato tanti soldi per fare questo lavoro”.
Gestioni parecchio allegre, quelle che hanno portato ai crac e ai fallimenti. Alle prime avvisaglie, inizio anni ’90, gli amministratori decisero di vendere, per far cassa, alcuni dei tanti immobili di proprietà: a comprarli, in particolare, non pochi “compagni” bisognosi di un tetto per la famiglia. E così, ad esempio, la fortuna baciò l’allora sindaco di Napoli e poi governatore della Campania, Antonio Bassolino, che riuscì ad intestare ai due rampolli di casa, Gaetano e Chiara, due appartamenti nel cuore di Roma, quartiere Monti, a un passo da piazza di Spagna: 243 milioni l’uno (più un mutuo con la Banca dell’Etruria), anno ’92, e due anni dopo comincerà il “calvario” della prima liquidazione.
Arriveranno poi le gestioni di Alfio Marchini, oggi in corsa per il Campidoglio, di Marilina Marcucci (sorella del super renziano senatore Andrea Marcucci e di Paolo Marcucci, numero uno nella distribuzione di emoderivati), del gruppo Angelucci (leader della sanità laziale), di Renato Soru (patròn di Tiscali e poi al vertice della Regione Sardegna), fino agli ultimi tric-crac.
E – dopo la lunga assenza dalle edicole – eccoci alla nuova gestione targata “Unità srl”, con il 20 per cento di azioni detenute dalla dalemiana Youdem e l’80 per cento dalla Piesse che fa capo al tandem composto dal mattonaro milanese Stefano Pessina (40 per cento) e dal timoniere delle sue sigle, appunto Guido Stefanelli (con il 60 per cento).
Ma dal cilindro di Renzi sembra che stia per uscire un ottimo coniglio capace di ripianare, ancora una volta, i primi pesanti debiti: un bel tesoretto, infatti, sarebbe stato racimolato tra 2 per mille, cene, donazioni, elargizioni varie, quote di tesseramento: circa un milione e mezzo di euro. La destinazione prevista è soprattutto per vitalizzare le sezioni Pd locali (nelle quali ai tempi del Pci l’Unità andava a ruba e i militanti ne imbracciavano decine di copie per distribuirle la domenica nei caseggiati); ossia per dar linfa al partito sul territorio. Ma ecco la sorpresa quasi pasquale: visto che le sezioni non hanno risposto all’appello e non si abbonano alla nuova Unità, ecco che quei fondi potrebbero essere stoppati e spediti nelle casse di Piesse per arginare l’incipiente voragine.
Suonato l’allarme, il timoniere Renzi cambierà poi rotta per la “sua” Unità? O la “rottamerà” in anticipo?
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