Editoria

“Una riforma per il pluralismo”

L’intervista: Patrizia Bisinella, senatore del gruppo “Fare!”, e la nuova legge sull’editoria
“Condivido l’intervento, ma si potrebbe fare di più. Qualche modifica sarebbe importante”

Il disegno di legge sulla riforma dell’editoria, approvato alla Camera dei Deputati ed ora in discussione in Commissione al Senato, è senza dubbio una novità importante nel panorama del settore. Senza contare che l’istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, in un momento di crisi e di assestamento anche in ragione dell’avanzata della componente digitale, non può che rappresentare un passo decisivo verso la certezza delle risorse in particolare per le piccole e medie aziende editoriali edite da cooperative di giornalisti, che rappresentano una garanzia di informazione e pluralismo laddove le grandi testate nazionali non avrebbero ragione di investire.

Un presidio democratico del territorio che la riforma del settore ha deciso in linea di principio di tutelare al termine, tra l’altro, di un lungo iter parlamentare che si è sviluppato in particolare attraverso numerose audizioni in Commissione alla Camera dei deputati. Il senatore Patrizia Bisinella (gruppo Fare!) ha avuto modo in queste settimane, in Commissione al Senato, di analizzare a fondo il testo. Il suo, dunque, diventa un parere particolarmente prezioso per i colleghi di Palazzo Madama da un lato, ma anche per far capire alle aziende editoriali (e dunque a tutti i lettori) lo stato dell’arte.

“Innanzitutto – spiega il senatore Bisinella – condivido l’intervento a favore dell’editoria, volto a favorire il pluralismo delle fonti d’informazione, anche in considerazione della grave difficoltà economica che il settore sta attraversando ormai da anni. Una difficoltà aggravata dal passaggio all’informazione digitale e dall’accesso gratuito alle notizie via internet. Va detto infatti che l’indispensabile e costante miglioramento della versione on line di quotidiani e periodici determina un ulteriore effetto depressivo per la vendita delle copie stampate, con ripercussioni negative sui livelli occupazionali. Tuttavia ritengo che dopo l’esame del provvedimento alla Camera, che è stato accompagnato da un ampio ciclo di audizioni, dovesse giungere in Senato un testo maggiormente condiviso. Invece, il disegno di legge reca diverse deleghe al governo, a mio avviso eccessivamente ampie e non ben definite, su materie complesse quali il sostegno pubblico all’editoria, da un alto, e il sistema pensionistico dei giornalisti e la disciplina del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, dall’altro, che mi sembra difficile trovino una compiuta e condivisa definizione, come dovrebbe essere, in sede di dibattito parlamentare. Per un intervento efficace di governo e parlamento, sarebbe per me preferibile ci occupassimo e risolvessimo prima il tema del sostegno pubblico all’editoria, divenuto urgente, e poi delle altre questioni, in un secondo e distinto provvedimento”.

Insomma nel testo approdato in Commissione al Senato, e prossimo alla discussione in aula, restano alcuni punti che se trascurati, o peggio ancora ignorati, potrebbero rappresentare uno scoglio insuperabile proprio per le piccole imprese editoriali che si volevano tutelare. A partire da una delega veramente molto ampia al governo per stabilire la ripartizione dei fondi tra le varie imprese, e all’adozione di parametri troppo rigidi a fronte delle attuali condizioni potrebbero alla fine rendere iniqua (se non inutile) l’intera riforma per la maggioranza delle imprese editrici.
Senatore, il primo punto è senza dubbio quello della indeterminatezza delle risorse. Secondo lei, per garantire il pluralismo dell’informazione e l’imparzialità della stessa, non sarebbe meglio evitare che le piccole imprese editoriali restino anno dopo anno nell’incertezza del futuro (con le relative difficoltà di programmazione) a fronte della libertà lasciata al governo di turno di stabilire le risorse destinate al settore? Rivedere la delega al governo inserendo alcuni, pochi paletti chiari per l’esecutivo (ripetiamo qualsiasi sia l’esecutivo) è veramente impossibile? Del resto, e fortunatamente, sono ormai lontani i tempi nei quali si distribuivano i fondi per l’editoria a pioggia e senza alcun controllo. Fortunatamente aggiungiamo, perché il primo scopo della riforma doveva essere proprio quello di impedire ogni abuso… Oggi siamo arrivati ad un fondo di nemmeno 50 milioni di euro per una platea ridotta – per certi versi giustamente – all’osso. Premettendo ciò, legare i contributi all’editoria esclusivamente alle vendite e fissare un tetto non superiore al 50% dei ricavi (lasciando all’esecutivo attuale e a quelli futuri solo la possibilità di diminuirlo), senza distinguere tra giornali locali e nazionali, non significa penalizzare i giornali locali e delle minoranze rispetto alla stampa nazionale? In fondo il contributo è fondamentale per l’editoria più debole proprio perché locale e dunque insita su bacini limitati come potenziale utenza…
“Ritengo condivisibile l’istituzione del Fondo unico, per rendere certo finalmente il sostegno pubblico spettante all’editoria nei tempi e nelle modalità di erogazione, oltre che nell’ammontare. Ma proprio qui secondo me risiede il problema: i criteri di ripartizione di tale fondo dovrebbero assicurare davvero la massima trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche, ma non mi sembra si stia andando in questa direzione. Ritengo che la certezza delle risorse sia fondamentale in particolare per tutelare e garantire la sopravvivenza degli editori locali che rappresentano una garanzia di informazione e pluralismo democratico sui territori, dove invece risultano assenti le grandi testate nazionali che sono mosse esclusivamente da ragioni di investimento e ritorno economico. A mio avviso l’introduzione, all’articolo 2, comma 2, lettera e), punto 2), di una graduazione del contributo in funzione del numero di copie annue vendute, non inferiore al 30 per cento delle copie distribuite per la vendita, potrebbe avere effetti dannosi ed estendere la situazione di crisi anche ad altre testate, le più deboli e penalizzate appunto, come quelle locali”.

Prevedere all’interno della legge un contributo di solidarietà da parte delle imprese editrici che già faticano a far quadrare i propri bilanci sembra quantomeno anacronistico: non crede, ad esempio, che chiedere lo stesso contributo alle società dei comparti bancario, chimico e industriale con fatturati superiori a cento milioni di euro possa essere più equo?
“Il contributo di solidarietà che andrà ad alimentare il Fondo, e che viene chiesto alle imprese editoriali e alle concessionarie di pubblicità, se per un verso può essere condivisibile rispetto alla necessità di tassare i redditi prodotti soprattutto dai motori di ricerca, a mio avviso può creare discriminazioni in una situazione di crisi del settore come quella attuale e risultare penalizzante proprio per quelle imprese minori che non hanno accesso ai grandi canali di comunicazione pubblicitaria. Sarebbe preferibile procedere a individuare quali imprese debbano essere chiamate a sostenere l’editoria in nome del pluralismo e della libertà di informazione”.

Il mondo delle imprese non profit, a partire da quelle cattoliche, nonostante l’importante ruolo che svolge rimarrebbe escluso dai modesti contributi ai quali accede se in tre anni non riuscisse a rivedere il proprio status associativo con la trasformazione in cooperativa di giornalisti. Crede sia giusto escludere a priori queste testate che sono fra le più radicate sui rispettivi territori?
”Condivido l’introduzione di un sistema che preveda contributi vincolati alle vendite e tetti parametrati ai ricavi, per evitare il fenomeno di pubblicazioni create ad arte solo per accedere ai contributi ma prive di reale consistenza e diffusione. Tuttavia occorre procedere con cautela, e con precisione nei criteri che saranno scelti, proprio per evitare che sia ingiustamente penalizzata l’informazione minoritaria che offre un servizio reale ai cittadini laddove la grande pubblicazione non arriva. Auspico che su questo punto si proceda in commissione in modo condiviso… Aggiungo, da parte mia, che sono favorevole si proceda alla modifica dell’Ordine, che è senz’altro importante non solo per la tutela dei giornalisti nelle cause di diffamazione, ma anche per consentire un adeguato ristoro del danno d’immagine, purché si proceda davvero verso un suo snellimento e una nuova composizione, e che questa sia più equilibrata e tenga conto delle esigenze di rappresentatività territoriale”.

Alla Camera la riforma è stata approvata alla fine dell’inverno. Adesso è in corso l’iter al Senato. Ragionevolmente, quando pensa che il disegno di legge potrà eventualmente ritornare alla Camera per la seconda lettura? Ovvero: quali saranno i tempi per vedere approvata definitivamente una riforma di cui si discute forse da decenni?
“Per quanto riguarda i tempi di approvazione della riforma, il governo intende procedere velocemente, e anch’io credo vi sia l’urgenza di regolare quanto meno l’aspetto del sostegno pubblico all’editoria, perché diventi un sistema chiaro, definito e più giusto. Tuttavia, sugli altri aspetti toccati dal provvedimento vedo difficile una condivisione parlamentare. Tenendo conto dei tempi fissati per la presentazione delle proposte di modifica in commissione e per l’esame e votazione delle stesse, probabilmente il testo approderà in Aula a metà di giugno”.

Tratto da La Voce di Rovigo del 24/05/2016

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