I giornalisti scenderanno in piazza, il primo giugno, per chiedere “un futuro per l’informazione”. L’iniziativa porta la firma della Federazione nazionale della stampa italiana, al cui fianco sono già scese alcune delle sigle che compongono la vasta galassia delle associazioni regionali.
Obiettivo della manifestazione è quello di riportare l’attenzione sul tema dell’occupazione nel settore dell’informazione: un’autentica tragedia, secondo i numeri riportati dalle sigle di categoria che sintetizzabili nella considerazione secondo cui “tra il 2013 e il 2020 sono andati perduti oltre 3mila posti di lavoro, pari a quasi il17 per cento del totale” della popolazione lavorativa attiva nei giornali. Una mattanza, anzi, per dirla citando Fnsi: “Un’emorragia occupazionale che non ha eguali”. Per ora sono stati già ufficializzati presidi di protesta a Milano e Genova ma prestissimo saranno ufficializzate iniziative anche nelle altre città italiane.
La “ricetta” delle parti sociali è quella già nota: “Incentivi a carico del sistema generale per favorire le assunzioni; modifica dell’attuale normativa sui prepensionamenti, con l’obbligo di un’assunzione di un giovane giornalista o la stabilizzazione di un collaboratore di lungo corso per ogni uscita anticipata; la riforma della legge di sistema dell’Editoria e la legge sull’equo compenso 233/ 2012, che non è mai stata attuata e che serve in un mercato del lavoro che oggi, invece, vede articoli pagati sette, cinque o addirittura un euro”. E poi l’abolizione del cococo, che secondo i sindacati dei giornalisti “maschera lo sfruttamento selvaggio di quelli che sono ormai i braccianti o rider dell’informazione, giornalisti che svolgono lo stesso lavoro dei dipendenti ma senza tutele”.
Intanto, nei giorni scorsi, il tema del precariatodei giornalisti è stato sollevato in parlamento dal deputato democratico Paolo Lattanzio che ha dichiarato: “E’ mio convincimento che non possiamo affrontare in maniera completa la discussione sul pluralismo se non cominciamo dalla volontà di risolvere la questioni dei precari e delle precarie della stampa. Perché parlare di pluralismo significa parlare della carne viva della nostra democrazia”.
Dunque ha aggiunto: “Reporter senza frontiere nell’ultimo World Press Freedom Index pone l’Italia per il secondo anno al 41esimo posto della classifica, il che significa che le cose non vanno bene e non è solo una questione di infrastrutture e tecnica. Accanto a tristi conferme come gli Usa di Trump, il Brasile di Bolsonaro, che si è distinto per gli arresti dei cronisti, ai casi noti di Russia e Arabia Saudita, c’è la cattiva situazione dell’Italia in cui aumentano le aggressioni e le querele temerarie. E questi due temi sono stati giustamente sollevati nella Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, lo scorso 3 maggio”.