Non ci sono solo le imprese a dover superare un ritardo culturale sul Web. Anche gli Stati e le istituzioni devono fare la loro parte. E qui non si tratta solo dei ritardi della Pubblica amministrazione italiana che tuttora rinuncia a quello che potrebbe ottenere in termini di maggiore efficienza e minori costi per la collettività. C’è un versante legislativo e regolamentare che lascia aperti nodi importanti. La “globalità” naturale della rete pone infatti nuovi problemi al diritto. In particolare per quanto riguarda l’uso del cloud. C’è un problema all’interno dell’Ue, ancora in mezzo al guado del processo di armonizzazione normativa. E ce n’è uno ben più rilevante e gravoso che riguarda gli operatori europei nei confronti degli operatori Usa. Nel primo caso il problema è degli operatori europei che hanno difficoltà a muoversi liberamente all’interno del mercato unico perché si trovano a fare i conti con almeno sette o otto normative diverse. Questo ne limita la crescita e li pone in una condizione di svantaggio nei confronti dei loro concorrenti extra europei. Nel secondo caso la faccenda è più complessa e riguarda il cloud. Quando un’azienda affida i suoi dati ad un operatore cloud internazionale nasce un problema: dove sono i dati? E se sono conservati in server collocati in paesi esteri, qual è la legislazione che dovrà dirimere gli eventuali contenziosi? Quella italiana? Quella del paese di appartenenza
dell’operatore? O quella del paese che ospita i server? Per ora c’è un tavolo congiunto Ue-Usa che sta cercando di studiare soluzioni condivise. E intanto l’Ue ha deciso che, soprattutto per quanto riguarda la pubblica amministrazione, ci si debba servire di operatori cloud che utilizzino allo scopo esclusivamente server collocati in paesi dell’Unione. E’ per questo che giganti come Microsoft e Amazon hanno aperto di recente nuovi datacenter in Europa. C’è infine un ultimo nodo, che si è appena aperto e che riguarda meno il processo di digitalizzazione delle aziende e più il mercato in generale. E’ il tema della privacy e del controllo delle identità personali. Gli operatori europei, in primo luogo le telecom, sottostanno a norme rigide in materia di salvaguardia dei dati personali di chi opera in Rete. Ma quando un cittadino europeo si iscrive ai grandi social network, Facebook e Twitter in primo luogo, oppure usa i servizi mail e di ricerca di Google perde il controllo sui suoi dati. Facebook, Twitter e Google rispondono alle legislazione Usa che al tema della privacy non dà che un minimo peso e possono rivendere tutti i nostri dati personali (abitudini, stili di vita e di consumo) agli investitori pubblicitari. A nostra insaputa. Senza regole. E mettendo fuori mercato i concorrenti europei che hanno limiti operativi molto più stringenti. (s.car.) Il tema della privacy divide Stati Uniti e Unione Europea ma c’è un tavolo in corso per raggiungere soluzioni condivise