Senza attendere il parere della Corte di Giustizia, il Parlamento
europeo ha respinto l’accordo
internazionale che avrebbe armonizzato
le norme dei singoli Paesi sul copyright. La vicenda
è paradossale. Le norme contenute
nell’Acta – Anti counterfeiting trade agreement, cioè Accordo commerciale
anticontraffazione – sono già previste nell’ordinamento italiano e in quelli
dei principali Paesi firmatari. L’Europa,
in altre parole, ha già le sue tutele contro
la pirateria. Ma resterà esposta – e
qui sta il paradosso – nei confronti
dei Paesi in cui più attiva è la contraffazione:
Brasile, Russia, India e Cina. Sì,
proprio loro, i famosi (in questo caso
famigerati) Bric.
Ancora una volta i politici europei sono
stati sensibili alle ragioni di un non
ben precisato «popolo del web»: dietro
le quali stanno i ben più precisi interessi
di chi vuole continuare a guadagnare
senza investire, lucrando sulla proprietà
intellettuale degli altri. Stiamo parlando
di industrie – dall’editoria alla
musica – che in Europa danno lavoro a 120 milioni di persone. Un argomento
poco sexy? In effetti stupisce sentire gli
euro-politici riempirsi la bocca di parole
come «politiche culturali», «occupazione»
e poi smentirsi così platealmente
nella rincorsa al neopopulismo.
La mancanza di regole universali a tutela
del copyright rischia di dare un
contributo supplementare alla distruzione
di posti di lavoro, in aggiunta a
quelli «fisiologicamente» cancellati dalla
tecnologia, dalla crisi economica e,
almeno per ora, non sostituiti da Internet
se non in misura marginale.
Il populismo
dei politici però non è l’unico
-aspetto sorprendente della storia. L’altro
è la malcelata simpatia – e, talvolta,
l’aperto sostegno – che i ladri di
copyright continuano a trovare in quegli
stessi mezzi d’informazione che in
fin dei conti ne sono le vittime.
Ora si
aspetta il parere della Corte di Giustizia,
che, secondo i più ottimisti, potrebbe
introdurre un po’ di buon senso in
questa globale follia.
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