Non è una questione di contrapposizione politica. Non lo è più e, probabilmente, non è mai stato altro che un pretesto. Fatto sta che quanto accaduto nelle scorse ore è gravissimo: una società privata, Twitter, ha “temporaneamente sospeso” l’account del quotidiano Libero. Il quadro generale è quello della lotta al “trumpismo” che è evidentemente tracimata al di fuori degli Stati Uniti d’America.
La questione non è di poco momento perché non riguarda il banale chiacchiericcio politico, quello della contrapposizione a fini elettorali, la piccola guerra per i voti; sullo sfondo, infatti, c’è una Costituzione che pare violata in uno degli aspetti fondanti, quello che tutela la libertà di opinione. Non per un singolo utente ma addirittura per un giornale e, quindi, l’accaduto investe anche la libertà di stampa.
Il fatto è che il web è diventato uno spazio fondamentale per il confronto pubblico, un’agora che per quanto virtuale è comunque un luogo di confronto. Non deve essere una prateria da far west e quindi è sottoposto alle regole e alle norme che devono valere per gli altri spazi, reali o virtuali. Se gli abusi vanno denunciati e repressi, le libertà invece vanno tutelate e potenziate. Ed è compito che afferisce alla sfera pubblica, allo Stato non a un privato che non può sostituirsi alle istituzioni dispensando patenti di libertà così come non può vestirsi da Rambo e andare in giro a farsi giustizia da sé.
Libero non è un giornale accomodante. È, come il suo direttore Vittorio Feltri, urticante e sempre al centro di mille polemiche. Spesso e volentieri furibonde. E ciò che deve fare un giornale, in fondo. Ma alle idee si replica con le idee, non si può invocare la censura senza tradire la democrazia così come costruita dalla Costituzione. E non può essere Twitter, un social che ha definito d’imperio “controverso” l’operato dei giornalisti americani sullo scandalo di Hunter Biden – figlio del neopresidente Joe – che oggi si ritrova sotto inchiesta, a dare lezioni né di giornalismo né di libertà.
L’Europa lo ha capito molto meglio di certe claque nostrane, le stesse che applaudono alla chiusura dei giornali o ne assistono alla fine senza muovere un dito. E Berlino e Parigi hanno preso posizione contro i ban. L’Ue ha capito che in gioco non c’è solo la possibilità di Libero Quotidiano di raggiungere i suoi utenti e lettori anche su Twitter. Oggi è toccato a Donald Trump, domani potrebbe capitare a chiunque altro. Oggi è successo al giornale di Feltri e Senaldi, domani potrebbe capitare a Repubblica e Corsera; e a tutti coloro che oggi esultano, in maniera estremamente miope, perché un giornale che non piace loro è stato “zittito” in barba a quella Costituzione che dicono di ritenere “la più bella del mondo”.