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TV SENZA SPOT E PIU’ SPETTATORI: LA RETE PUBBLICA FRANCESE REGGE (L’UNITA’)

Dalle 20 di lunedì scorso la tv pubblica francese ha abolito la pubblicità: il film succede al tg, il quiz al film, il dibattito al quiz in un percorso virtuoso e privo di consigli per gli acquisti.

Per settimane l’attenzione di esperti e sondaggisti sarà concentrata sul telespettatore: che farà, allo scoccare delle 21.35? Perché l’epocale bivio bioritmico è questo: alle 20.35, finito il tg, lo sciagurato sceglierà la full immersion immediata nel film sulla rete pubblica, magari con il boccone in gola, oppure preferirà fruire, come ha sempre fatto, di quel quarto d’ora che la pubblicità gli offriva per sbarazzare la tavola, fare pipì, rassettare il divano, portare fuori il cane, e allora opterà per le private, che continuano ad aprire il fuoco serale alle 20.50?
Ci vorranno settimane per un primo responso che sia credibile. Ieri i dati raccolti dopo l’esordio no-pub non offrivano indicazioni sufficienti. La guerra, è chiaro, sarà di lunga durata.
Era stato Nicolas Sarkozy, giusto un anno fa, a gettare il sasso nello stagno: che la tv pubblica, aveva detto, pensi alla qualità, e non al profitto. Aveva colto tutti in contropiede. La sinistra, che per decenni contro la pubblicità aveva sparato a palle incatenate. La destra, che non si aspettava una simile fuga in avanti. I grandi patron delle private, increduli davanti a tanta manna (il corso deviato degli annunci dal pubblico al privato) ma diffidenti perché una gatta, lì sotto, doveva pur covarci. Il presidente aveva suggerito infatti come compensare i 400 milioni di mancato guadagno per le reti pubbliche: siano quelle private a pagare con una parte dei loro profitti, e anche i telefonini ed Intemet, con infinitesimali ma globalmente robusti prelievi fiscali sulle telecomunicazioni.
Ma l’idea, cammin facendo, era stata riposta nel cassetto: magari se ne riparlerà tra qualche mese. Per ora sarà lo Stato che assicurerà alle reti pubbliche il necessario per investire e produrre, poi vedremo. In cambio dei finanziamenti però Sarkozy ha voluto un bei trofeo: il presidente del sistema pubblico verrà nominato dal governo, cioè da lui. Come ai tempi di De Gaulle. Finora lo nominava il Csa, l’organo di sorveglianza dell’intero audiovisivo.
L’indipendenza, è vero, era di facciata: nessun Csa ha mai nominato un signore sgradito al presidente in carica. Ma il cesarismo esplicito di Sarkozy ha offerto all’opposizione socialista l’occasione di rialzare la cresta, depositando migliaia di emendamenti in Parlamento. La legge infatti è ancora in discussione, e il Senato dovrebbe approvarla in seconda lettura non prima della metà del mese. Ciò non ha impedito a France 2 e France 3 di anticipare i tempi, sulla base di un nuovo regolamento interno, e in attesa che tutto il pacchetto «riforma dell’audiovisivo» veda la luce. Tutto fa pensare che non ci saranno passi indietro: tre anni di prova notturna e poi, nel 2011, non più un grammo di pubblicità nelle intere 24 ore. Sempre che l’umano in poltrona gradisca, e ri-nunci a quel quarto d’ora di distrazione. (Dalla rassegna stampa ccestudio.it)

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