In Turchia la libertà di stampa continua ad essere una chimera. E’ notizia recente l’arresto di Ahmet Sik, noto giornalista investigativo attivo su Twitter e per il quotidiano Cumhuriyet, la nemesi del presidente turco Recep Tayip Erdogan. Sik è accusato di propaganda terroristica e di vilipendio dello stato, del sistema giudiziario, delle forze armate e della polizia. I post incriminati riguardano la lotta del governo contro i militanti del Partito dei lavoratori curdi e la questione dell’omicidio dell’ambasciatore russo ad Ankara. Tra l’altro Sik ha pubblicato un libro nel 2011, “L’esercito dell’Imam”, assai critico nei confronti di Gulen. Probabilmente le accuse a suo carico verteranno sul presunto sostegno dato ai curdi del Pkk.
Il tentato colpo di stato del mese di luglio, riconducibile per Erdogan all’imam in esilio Fetullah Gulen, ha dato il via ad una stagione di autoritarismo nella Mezzaluna. Ne hanno fatto le spese giornalisti, magistrati, poliziotti e dipendenti pubblici. Tutti accusati di far parte di un unico grande complotto contro il presidente turco. Il Committee to Protect Journalists riporta un dato allarmante: sarebbero ben 81 i giornalisti in custodia in Turchia e addirittura 130 le testate chiuse per apologia al terrorismo. Il dato preoccupante è la mancanza di una vera opposizione alle iniziative del presidente turco, che si è più volte detto soddisfatto per aver distrutto “gruppi civili che lavoravano contro lo Stato” . In questo contesto si inserisce anche l’arresto di Selahattin Demirtas, leader del partito curdo Hdp, divenuto il terzo raggruppamento politico del paese nelle ultime legislative. Una minaccia forse troppo grave per Erdogan, che ha pensato bene di eliminare il problema alla radice, sostenendo che i leader di Hdp fossero al soldo del Pkk.
La censura di Erdogan coinvolge indistintamente stampa e Internet. Non si contano i blocchi dei principali social network e delle app di messaggistica. Si fa sempre più difficile aggirare le limitazioni governative, dal momento che in molti casi sono state bloccate anche le reti private virtuali. Il modello di Erdogan è la Cina, un paese che non si identifica propriamente con i principi democratici che si sono affermati nel XXI secolo.
L’Unione Europea rimane inerte, costretta dalla spinosa questione dei migranti ad assecondare i deliri del presidente turco . Uno stop ai negoziati di adesione della Mezzaluna all’UE potrebbe comportare una rottura dell’accordo per il contenimento del flusso dei rifugiati. Tra l’altro l’entrata nell’Europa non è più una questione prioritaria per Erdogan, che ha lasciato intendere di volersi affiancare a Russia e Cina nell’Organizzazione di Shanghai. Per tutti questi motivi non sembrano esserci ostacoli all’orizzonte per Erdogan e la deriva autoritaria che ha intrapreso. I giornali e l’informazione in generale continueranno a farne le spese.
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