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Tutte le trappole della Rete, parla il neuroscienziato Manfred Spitzer

Fanno ancora discutere le “pesanti” analisi di un calibro come Umberto Eco su Internet & dintorni: “la patria degli scemi del villaggio”. “I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Di solito venivano messi subito a tacere, ora hanno lo stesso diritto di parola di un Nobel”

Da un piemontese eccellente all’altro, ecco un quarto di secolo fa il secco commento di Giorgio Bocca raccolto da Enrico Deaglio a proposito della pagina di “Opinioni” su Lotta Continua, una sorta di blog ante litteram: “ma questi arrivano proprio dal Cottolengo”.
L’11 giugno su Repubblica un grosso reportage sulla nuova sindrome, il burnout, che “brucia” con stanchezza, fatica e soprattutto depressione quasi un lavoratore su quattro in Europa e anche da noi. Innovative, e pericolose, forme di stress.

Sui rischi connessi alla nuova era digitale, ai new media e allo stesso burnout, abbiamo trovato tracce in un’intervista rilasciata un anno e mezzo fa ad una giornalista svizzera, Raquel Foster, dal neuroscienziato tedesco Manfred Spitzer. Parole altrettanto pesanti, che molti potranno giudicare “estremiste” nel sottolineare i pericoli che possono correre via internet. Ma può essere utile leggere quanto sostiene l’autore di “Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi”. Tanto per rimanere agli “scemi del villaggio” e al Cottolengo. Ecco i passaggi salienti.

“I mezzi di comunicazione digitale hanno questa caratteristica: ci svegliano la mattina, vibrano quando dobbiamo rispondere a un messaggio e suonano per ricordarci un appuntamento. Dobbiamo sempre reagire, cioè non siamo più attivi, ma soltanto passivi. E aumentano lo stress: la gente si sente in balia di questi strumenti e si assiste a conseguenze come la sindrome da burnout. Il tutto a causa della silenziosa acquisizione del controllo da parte dei mezzi di comunicazione digitale. Un meccanismo molto insidioso che bisogna conoscere per poterlo contrastate attivamente”.

“Oggi si clicca più di quanto si legge. In questo modo ciò che è letto resta meno impresso. In tedesco esiste un detto ‘leggere istruisce’, che oggi si potrebbe completare così: ‘leggere istruisce, cliccare qua e là no’. Vale a dire che cliccando qua e là quando si legge il giornale sul proprio iPad e restando costantemente connessi non si apprende di più da quanto si legge, bensì di meno. Per questo motivo personalmente preferisco i giornali cartacei: ma io sono anche anziano…”.

“I nuovi media per i bambini non rappresentano un progresso, ma minori possibilità di imparare. Prendiamo, appunto, l’iPad: vi sono genitori che ritengono che il proprio figlio sia astuto perché a due anni sa già utilizzare un iPad. A loro potrei solo rispondere che stanno rincretinendo il bambino: scorrere le dita su una superficie liscia, senza contorni e struttura, è il gesto più stupido che si possa compiere da un punto di vista motorio e noioso sensorialmente: il tablet non può che danneggiare lo sviluppo mentale. Non viene allenato assolutamente nulla nella testa del bambino di due anni. Un bambino ha bisogno di esperienze complete: l’input ottico deve corrispondere al millesimo di secondo a quello acustico e tattile, poiché il cervello verrebbe confuso e non apprenderebbe nulla. Per questo per gli adulti i computer sono fantastici, ma per i bambini e i giovani rappresentano puro veleno per le loro capacità cerebrali”.

“I computer non servono a nulla nelle aule scolastiche. Cercare qualcosa su Google è così semplice che chiunque è in grado di farlo, purché gli sia stato spiegato almeno una volta. Ciò che è più utile per Google sono le proprie conoscenze. Poiché se non si conosce nulla, neppure i risultati su Google saranno utili a qualcosa. Le conoscenze di base sono il filtro tramite il quale separare il grano dal loglio e queste non si ottengono grazie a Google: uno studio condotto da alcuni psicologi della Columbia e di Harward ha dimostrato che le informazioni che vengono fornite da Google restano meno impresse, perché il cervello sa di poterle riottenere in qualsiasi momento. Accade diversamente con la lettura di giornali o libri, durante la quale vengono immagazzinate molte più informazioni. Quindi se si vuole davvero che gli studenti imparino a cercare su Google a scuola, per prima cosa non dovrebbero proprio… cercare su Google. Perciò i bambini non necessitano di alcuna patente per Internet o di competenze in materia di mezzi di comunicazione: ma piuttosto di conoscenze di base”.

“In Germania i giovani dipendenti da Internet sono mezzo milione. In veste di psichiatra ho conosciuto alcune di queste persone: sono dei rottami. Mezzo milione di rottami è una porzione molto significativa che nessuna società si potrebbe permettere”.

“Trovo assurdo che un bambino senza smartphone, che non può andare su Facebook, diventi oggetto di mobbing e venga emarginato, o che al liceo sia necessario avere un portatile altrimenti si viene esclusi. Sappiamo che sono i bambini che passano troppo tempo su Facebook o semplicemente online a diventare emarginati. La lobby dei new media gioca molto sulle paure. Domina la logica del marketing delle imprese più grandi al mondo, a cui non dobbiamo abbandonare i nostri cervelli. Né tantomeno quelli dei nostri figli”.

“L’amicizia nell’era dei social? La parola ha assunto un nuovo significato: sono amici tutti quelli il cui nome è apparso sul mio schermo e su cui io ho cliccato. Ci troveremo presto in una società di analfabeti sociali, di zombie incapaci di provare emozioni ed empatia per nessuno. Neanche per se stessi”.

“Ciò che cerco sempre di sottolineare sono i rischi e gli effetti collaterali dei computer. Che vedremo fra anni ancora di più, nei giovani di oggi. Affidare i nostri ragionamenti alle macchine danneggia il cervello. Quando lei viaggia utilizzando il navigatore non pensa a dove si trova, è la sua auto che sceglie la direzione, non il suo cervello. La mente in questo caso non apprende nulla. Al contrario, le connessioni o le aree del cervello che non vengono utilizzate per molto tempo si riducono”.

“Senza computer, smartphone e internet ci sentiamo perduti. Ciò vuol dire che l’uso massiccio delle tecnologie sta mandando in tilt il nostro cervello. Se ci limitiamo a chattare, postare, twittare e navigare su Google finiamo per parcheggiare il nostro cervello, ormai incapace di riflettere e concentrarsi”.

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