Carlo De Benedetti e Fedele Confalonieri seduti allo stesso tavolo. Meglio: uniti in una comune battaglia politica, la web tax. «Non so se è la prima volta che accada, credo di sì. Però in effetti le loro posizioni sul tema sono molto simili», ammette Francesco Boccia, deputato Pd di rito lettiano e presidente della commissione Bilancio della Camera, che ha organizzato per il 30 giugno dalle 18 alle 20 nella Sala della Regina di Montecitorio una tavola rotonda per rilanciare il tema della nuova fiscalità al tempo dell’economia digitale alla vigilia del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea.
Quella di Boccia è una vecchia battaglia. Il tema è presente nell’agenda politica da tempo, ma il premier Matteo Renzi lo cancellò all’ultimo momento dal Cdm del 28 febbraio scrivendo su Twitter: «Siamo stati di parola, no web tax». Boccia fu caustico: «Di parola sì, con le multinazionali». Incassato il colpo, il deputato ora ci riprova. «Mi auguro che il semestre di presidenza italiana apra una breccia in Europa sulla web tax», dice Boccia. Della sua proposta di legge è stata approvata solo la norma relativa alla tracciabilità delle transazioni legate alla pubblicità online. «Nel 2013 – spiega il deputato – Amazon, Google, e-Bay, Facebook, Twitter tutte insieme hanno pagato solo 6 milioni di euro di tasse, grazie alla norma sulla tracciabilità dovrebbero entrare a fine anno nelle casse dell Stato circa 137 milioni. Ma è ancora molto poco, dobbiamo arrivare a una vera tassazione, a una nuova fiscalità per l’economia digitale». Il giro d’affari tracciabile è stimabile in 25 miliardi. Ma è solo una goccia nel mare, perché ci sono le applicazioni su tablet e smartphone, i video, i film, la musica, l’e-commerce, i giochi e via discorrendo. Tutte merci vendute sul web in Italia sulle quali le multinazionali statunitensi non pagano un euro.
«Sono aziende che devono avere una sede e una partita Iva in Italia e devono pagare le tasse per le loro attività svolte in Italia – argomenta Boccia – Faccio un esempio: la Coca Cola ha una sede in Italia e una partita Iva in Italia. Anzi ha 28 partite Iva, una per ciascun Paese membro dell’Ue. Chiede da anni all’Europa l’unione fiscale, così da avere un’unica partita Iva, ma non si sogna di chiedere di non pagare le tasse per l’attività economica che svolge in ogni singolo Paese. Ecco, per Google e le altre multinazionali americane è un’offesa se un Paese gli chiede di pagare le tasse per l’attività economica e commerciale che svolge in quello Stato. Così l’Italia non incassa su un giro d’affari di miliardi di euro. Tutti i player Usa non pagano un euro e reagiscono in modo scomposto quando si parla di web tax, è ora di cambiare».
Naturalmente lo stesso vale per gli altri Stati membri dell’Ue: in Francia il giro d’affari è di 55 miliardi, in Germania 60, nel Regno Unito 80. «L’Europa sinora non ha mai deciso, nonostante ci sia una direttiva che impone un determinato percorso – dice ancora Boccia – Da Bruxelles devono arrivare risposte entro fine anno». Di qui l’idea del convegno del 30 giugno per mettere sotto pressione Renzi. Al tavolo saranno presenti oltre a Confalonieri e De Benedetti, anche l’Ad di Sky Andrea Zappia e il presidente della Siae Gino Paoli. «Su internet la pubblicità viaggia in monopolio: è Google a decidere chi deve avere che cosa e quanto. Di questo parleremo con chi guida grandi gruppi come Sky, Mediaset, Espresso-Repubblica. Faremo proposte definite al governo: sull’argomento dobbiamo fare passi in avanti durante il semestre italiano», è l’auspicio del presidente della commissione Bilancio.
fonte: www.iltempo.it
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