Telefonini e Tassa di concessione governativa. L’Agenzia delle Entrate condannata a risarcire un cittadino

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Resi noti i dati sulla telefonia mobile

 

Così ha avuto un lieto fine il ricorso contro l’Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Reggio Emilia, di un cittadino, accusato di evasione fiscale per non aver versato la tassa di concessione governativa per il cellulare: valore della causa, 146,66 euro. Solo che il contratto con il gestore telefonico era stato disdetto dall’interessato sei mesi prima di ricevere la fattura incriminata, che quindi non aveva alcun motivo di pagare. Cosa che l’Agenzia sapeva, visto che il contribuente aveva consegnato tutti i documenti, compresa la copia del recesso dal contratto, ma non se n’era preoccupata: il problema è suo, se la veda lui con il gestore, intanto paghi la tassa, e anche le spese aumentate ex art.17 bis eccetera. Ma il giudice, ovvero la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, ha dato invece ragione al cittadino, e vale la pena riportare qualche frase della motivazione. È scritto infatti, fra l’altro, nella sentenza, pronunciata il 17 giugno scorso: «il ricorrente ha dunque provato che il gestore ha emesso fatture senza averne titolo (d’altronde è di comune esperienza e, dunque, fatto notorio come i rapporti con i gestori telefonici siano, usualmente, quanto mai “vischiosi”…)». E anche: «l’Agenzia assume che i rapporti commerciali tra il ricorrente e il gestore non la riguardino, ma erra, posto che è proprio l’esistenza del rapporto commerciale tra i due, che concretizza il presupposto d’imposta». Infine: «se poi l’Agenzia, come pare di capire… è convinta di dover “pagare” per responsabilità di altri… ben avrebbe potuto chiamare in giudizio il gestore per vedersi sollevata da responsabilità che, assume, non siano sue». Risultato: ricorso accolto, avviso di accertamento annullato, spese di giudizio per un totale di 750 euro a carico del soccombente, cioè l’Agenzia. E non è un caso isolato, perché il difetto è nel manico: la presunzione di colpevolezza del contribuente. Troppo spesso basterebbe invece un po’ di spirito collaborativo e buon senso, per evitare contenziosi inutili, come in questo caso. E in tanti altri, visto che il Fisco spesso sbaglia: una volta su due, come ammette lo stesso ministero dell’Economia, numeri alla mano. Nel 2013 su oltre 250mila ricorsi fiscali presentati dalle aziende, il 45% si è chiuso a favore dei contribuenti, soprattutto nelle cause fino a 20mila euro, proprio come quella che abbiamo raccontato. Il problema è che spesso l’imprenditore non se la sente – comprensibilmente – di entrare nel labirinto delle cause interminabili, perdendo tempo e danaro: quindi, lascia perdere, e paga. Ma se più di un euro su due reclamato dall’Agenzia delle entrate o dalla Guardia di finanza alla fine risulta illegittimo, qualche dubbio sui successi della lotta all’evasione, e sui relativi numeri orgogliosamente snocciolati ogni anno, appare inevitabile. Per esempio, da gennaio a maggio le Fiamme gialle hanno già avanzato proposte di sequestri patrimoniali per reati fiscali per un miliardo circa: ma è molto probabile che alla fine queste cifre risulteranno molto ridimensionate.

Fonte:liberoquotidiano.it

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