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Telecom, tagli a costi e cedole le strategie in campo per evitare lo scorporo della rete

Tagli ai costi, a partire dai call center. Aumento di tariffe sui servizi premium. Ulteriori tagli al dividendo. E’ questa la strategia che il cda di Telecom Italia di giovedì prossimo dovrà approvare. Nelle intenzioni dovrebbe bastare a evitare lo scorporo della rete. Ma dall’AgCom non arrivano indicazioni confortanti. L’ Italia continua a perdere terreno mentre il Sudamerica rallenta la sua crescita. Pertanto il piano industriale che Telecom si appresta ad annunciare al mercato il prossimo 7 febbraio punta a convincere gli investitori che con un nuovo taglio dei costi il gruppo può superare un altro anno all’insegna della recessione. Di fronte a un mercato maturo fortemente presidiato dalla concorrenza, Telecom dovrà tagliare i rami secchi, a cominciare dalle perdite delle tv, e provare a farsi pagare di più per alcuni servizi premium, come le nuove frequenze mobili dell’Lte, piuttosto che alzare il canone del fisso, come ha già annunciato chiedendo l’adeguamento all’inflazione. Per il 2013, gli analisti si aspettano infatti che le attività domestiche di Telecom registrino una nuova contrazione dei ricavi compresa tra il 4 e l’8%, costringendo il gruppo a ridurre i costi nelle stesse proporzioni per mantenere stabili i margini. L’ad Marco Patuano sta quindi per varare una manovra di tagli fino a 1,3 miliardi, che imporrà nuovi sacrifici al gruppo. L’ambizioso obbiettivo sarebbe raggiunto attraverso tre canali:
il primo riguarda i risparmi sul costo dell’elettricità (400 milioni all’anno di energia), il secondo prevede ottimizzazioni e nuove dismissioni del patrimonio immobiliare e delle torri, infine la società conta sui risparmi derivanti dai suoi call center, un’attività dove lavorano 12mila dipendenti Telecom e che costa al gruppo il 30% in più rispetto ai service esterni. La sorpresa positiva che emerge dal bilancio di un anno di recessione, come il 2012, è che quei 7 milioni di abbonati al fisso della Telecom sono disposti a spendere di più, mentre gli utenti business e i clienti Tim hanno cercato in tutti i modi di risparmiare sulla bolletta. Stando più tempo a casa e con meno soldi in tasca per uscire, 700 mila clienti Telecom hanno scelto tariffe superiori pur di avere una connessione veloce con cui scaricare un film o della buona musica. Una riprova che il Paese ha bisogno delle reti di nuova generazione e che c’è una domanda e un mercato disposto a pagare per questi servizi. Solo che finora Telecom non ha investito nella fibra, ammodernando solo l’infrastruttura in rame: quei tre miliardi all’anno di investimenti in conto capitale realizzati in Italia sono stati dirottati sulla rete mobile, per supportare la crescita degli smartphone, delle chiavette e dei tablet. Ora invece, con una normativa Ue più favorevole e potendo portare la fibra alla centralina (invece che direttamente nelle case), Telecom spenderebbe un quinto in meno del previsto. E così, paradossalmente, il fatto di avere un ingente debito che ha frenato gli investimenti nella fibra, si è rivelata una fortuna perché Telecom potrà investire meno e vedersi riconosciute tariffe maggiori con cui finanziare il futuro e progressivo ammodernamento della rete in rame. E’ triste però dover costatare che la strategia industriale degli ultimi tredici anni di una delle maggiori aziende del Paese è stata dettata dall’esigenza di ripagare i debiti della scalata Olivetti, che nonostante le dismissioni e i tagli, resta un macigno da 28 miliardi che zavorra la società. Per permettere a Telecom di uscire da quest’impasse, il gruppo deve ridurre ancora del 15% le sue passività. Secondo gli analisti, un livello di debito sostenibile con i risultati economici sarà raggiunto solo nel 2015 facendo di qui ad allora nuovi sacrifici, a cominciare dal dividendo. Sulla cedola gli investitori hanno però cambiato idea, anche se Telecom paga il rendimento più basso del settore: il monte dividendi 2012 (900 milioni) è pari al 27% dei flussi di cassa generati contro una media del 50%. I broker si aspettano quindi che per non rischiare una bocciatura della agenzie di rating, Telecom taglierà ancora la cedola di almeno il 30%. Scivolare sotto la soglia dell’Investment grade è un rischio che comporterebbe un costo non sostenibile in termini di oneri finanziari. Meglio azzerare la cedola, e c’è chi addirittura afferma che se il presidente Franco Bernabè lasciasse a digiuno i soci, darebbe anche un forte segnale che le scelte del management sono indipendenti dalle esigenze di quel 22,5% della società che fa capo a Telco. Il 46% del capitale di Telecom è infatti in mano a fondi esteri che puntano più sulla crescita del titolo che sul rendimento, solo il 7% delle ordinarie è detenuto da piccoli azionisti, il 6,75 è parcheggiato nei fondi italiani e il 5% è in mano alla famiglia Fossati. Sul dividendo però il dibattito è ancora aperto ed è probabile che alla fine si troverà una soluzione di compromesso tra soci e management. Detto questo, vale la pena ricordare che sotto la gestione di Bernabè i soci di Telco hanno già messo mano al portafoglio, iniettando 600 milioni di capitale e concedendo un prestito da 1,75 miliardi. Secondo gli esperti di Citigroup, dimezzare la cedola e dare alle ordinarie 2 centesimi basterebbe comunque a pagare gli interessi su quell’1,05 miliardi di debiti che Telco ha con il sistema bancario. Bernstein calcola invece che con un simile taglio alla cedola Telecom risparmierebbe 1,25 miliardi in tre anni, il doppio di quanto serve per cablare con la fibra le centraline delle maggiori città italiane. Inoltre con lo spread su questi livelli, anche il costo dei futuri finanziamenti scenderà, permettendo al gruppo di ripagare i debiti e accelerare sugli investimenti nella rete. In questo scenario, sono in pochi a ritenere che i tempi per portare avanti uno scorporo della rete siano maturi, e così ora gli analisti calcolano solo un 30% di possibilità che Telecom trovi un’intesa con la Cassa Depositi per vendere parte della sua infrastruttura. In vista della chiusura del bilancio e in previsione di un nuovo anno di flussi in calo, Telecom dovrà fare nuove svalutazioni tenendo conto della sua dimagrita solidità patrimoniale. Se dopo la maxi pulizia dello scorso anno l’avviamento resta alto a 34 miliardi, il capitale sociale (10,6 miliardi) e le riserve (9,8 miliardi) si sono invece ridotti a un totale di 20,5 miliardi. Certo alcune attività come l’infrastruttura potrebbero essere rivalutate, ma altre tra cui TiMedia e la stessa Tim continuano a perdere valore. Tanto che oggi nella somma delle parti della valutazione di Telecom, le attività di telefonia mobile in Italia valgono meno di quelle in Brasile: per Citigroup il 100% della telefonia mobile tricolore vale 8,59 miliardi mentre il 66,27% che il gruppo italiano controlla di Tim Parcipacoes ne vale 8,67, debiti compresi. E in Brasile Telecom avrebbe investito qualcosa in più se avesse avuto degli azionisti motivati a supportare la sua crescita. Il management era pronto a considerare seriamente l’acquisto della società della fibra Gvt, un dossier che a questo punto è destinato a restare in un cassetto di Tim Brasil. Telefonica (46,2% di Telco) non vuole che il maggior concorrente della sua Vivo si rafforzi, mentre Generali (30,6%), Intesa (11,6%) e Mediobanca (+11,6%) non vogliono iniettare nuove risorse in una partecipazione che dopo tre svalutazioni, vale sempre il 50% in meno rispetto ai prezzi di carico (1,5 euro). Che i soci di Telco siano uniti dalla debolezza della Telecom è un fatto, ma non è escluso che a settembre, nel periodo in cui sarà possibile chiedere la scissione del veicolo, piuttosto che nella primavera 2014 in vista del rinnovo del cda, ci siano novità nell’azionariato capaci di dare una scossa al titolo. È nella crisi che si creano le opportunità, e dato che Telecom è impantanata tra debiti e recessione e i vertici stanno per arrivare alla scadenza del mandato, sono in molti a scommettere che il 2013 sarà foriero di nuove rivoluzioni. Nella foto grande a destra, il presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè con Marco Patuano, amministratore delegato del gruppo Nel grafico a destra, l’andamento del titolo Telecom Italia in Piazza Affari.

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