Con sentenza n. 23052 del 14 dicembre scorso la Corte di Cassazione, sez. tributaria,* ha rigettato il ricorso di alcuni Comuni che avevano chiesto il rimborso della Tassa di Concessione Governativa (Tcg) sui telefoni cellulari posseduti.
Invocando la giurisprudenza di numerose commissioni tributarie che da tempo ormai danno ragione all’utenza (altri Comuni, ma vale anche per i privati), i ricorrenti hanno perso il primo grado (Commissione Tributaria di Treviso), vinto il secondo (Commissione Regionale Veneto) e, su ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, hanno infine perso la propria battaglia. E con loro, per adesso, molte speranze dei cittadini che si erano già mossi per ottenere le somme ingiustamente sborsate a tale titolo.
La questione giuridica decisa dalla Suprema Corte è questa:
la TCG può ritenersi ormai abrogata alla luce dell’introduzione del nuovo Codice delle Comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003), di derivazione comunitaria che liberalizza il mercato delle telecomunicazioni e si sostituisce al precedente regime concessorio in cui nasceva la tassa?**
Con una mossa di tecnica giuridica ed in punto di cavillo la Corte, contravvenendo all’opinione maggioritaria delle Commissioni tributarie di merito, salva la tassa e, soprattutto, con essa l’Erario.
Ecco l’escamotage giuridico.
I fautori dell’abrogazione invocano due argomenti. Uno di natura sistematica e generale: la direttiva europea ha reso liberi i cittadini d’Europa di comunicare, attività libera appunto, non soggetta a concessione. L’altro di natura tecnica: il D.lgs 259 ha abrogato il fondamento normativo contenuto nel vecchio D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318. Cosa conteneva questo articolo? Stabiliva che presso ogni singola stazione radioelettrica di cui fosse stato concesso l’esercizio doveva essere conservata l’apposita licenza rilasciata dal l’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, e costituiva la fonte normativa presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile.
Dunque, la tassa non solo non ha ragion d’essere per ragioni tecniche ma anche e soprattutto per la nuova prospettiva di libertà della comunicazione con la quale ormai stride.
La Corte, invece, ha ritenuto, sul primo argomento che la direttiva europea non abbia liberalizzato granché poiché le attività economiche sono comunque soggette alla supervisione dell’Autorità. Sul secondo che, sebbene l’abrogazione citata sia effettivamente avvenuta, il nuovo Codice ripropone il medesimo dettato normativo all’art. 160: “presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata consegnata l’autorizzazione generale deve essere conservata l’apposita licenza rilasciata dal Ministero. Per le stazioni riceventi del servizio il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza”, di conseguenza, secondo la Corte “anche attualmente il proprietario di un apparecchio di telefonia mobile è autorizzato a farne uso in l’orza del proprio abbonamento e, nello stesso tempo, l’art. 160 citato, riproducendo il contenuto dell’art. 318 abrogato, ha modificato l’art. 21 della tariffa nella parte in cui in precedenza richiamava l’art. 318 stesso.”
Ma di quale stazione radioelettrica si sta parlando? Il telefonino non è una stazione radioelettrica!
E che senso ha dire che il proprietario del telefono lo usa in forza di un abbonamento? E le carte ricaricabili non legittimano l’uso del telefonino? E allora perché se chi ricarica la propria stazione radioelettrica non paga alcuna tassa e chi fa l’abbonamento sì?
Mah, la sentenza sconcerta. Forse si è inteso, prima ancora della Tcg, salvare l’Erario!
Chi scrive si è vista riconoscere in primo grado dalla Commissione Tributaria di Firenze un rimborso per l’indebito pagamento della tassa in questione. Se, come immaginiamo, l’Agenzia delle Entrate farà appello, chiederemo alla Commissione Tributaria Regionale di sollevare la questione di pregiudizialità alla Corte di Giustizia, per conflitto con la direttiva che aveva in mente di liberare le telecomunicazioni.
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