Editoria, un intero settore fatto di tante realtà grandi e piccole rischia di scomparire a causa dei continui tagli al fondo. Tagli che si susseguono ormai da anni e che mettono seriamente in pericolo quelle aziende portatrici di diversità che fanno grande l’Italia. A suonare l’allarme è la Federazione Italiana Liberi Editori (File): sono già 30 le testate che hanno chiuso e sulla stessa strada ci sono altre centinaia di aziende che coinvolgono più di 15.000 lavoratori. Addirittura, dato che i tagli arrivano quando i bilanci sono chiusi, molti editori rischiano dei falsi in bilancio involontari. Una vera e propria battaglia, insomma, quella che le associazioni di settore stanno combattendo per cercare di ottenere quanto promesso dal governo a favore del pluralismo dell’informazione.
Un fondo falcidiato regolarmente
“Tanti i tagli, che si inseriscono in un clima quasi da caccia alle streghe, dimenticando spesso che se è vero che ci sono stati degli scandali che hanno riguardato il settore editoriale italiano, è anche vero che questi scandali colpiscono il Paese in maniera trasversale. Di certo l’editoria italiana annovera al suo interno giornali che sono delle realtà virtuose: giovani assunti, copie vendute, consenso dei lettori”. A mettere in luce questa situazione quasi sconfortante è la presidente della File, Caterina Bagnardi.
“Quest’anno – continua – i tagli hanno portato il fondo all’editoria dai 100 milioni stanziati in origine a circa 22 milioni”. Una mannaia che si è abbattuta in due fasi: in un primo momento il taglio doveva essere di circa il 50%, poi addirittura sono stati tolti altri 30 milioni, per arrivare ai 22 di cui si parla adesso. Il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio Luca Lotti si è impegnato a ristabilire 55 milioni per riuscire a dare alle aziende la metà di quanto promesso inizialmente. Resta il fatto, però, che il fabbisogno degli aventi diritto al fondo è di 91 milioni di euro. Le associazioni di categoria sono in attesa.
La battaglia per il pluralismo dell’informazione
In questo clima di incertezza sulla quantità del fondo, non appare nemmeno chiaro quando questo sarà effettivamente erogato. Rassicurazioni in tal senso giungono però dal capo dipartimento per l’Editoria Roberto Giovanni Marino.
“Dove andrà a finire il pluralismo? C’è bisogno di garanzie – prosegue la presidente della File – bisogna far capire che questo sostegno serve alle imprese e che quello che sembra un risparmio per le casse dello Stato in realtà rappresenta una spesa: 80 milioni ‘risparmiati’ sul fondo non vanno forse a finire negli ammortizzatori sociali? Solo per fare un esempio”. Il danno poi va considerato in tutto l’indotto, infatti oltre 5.000 edicole rischiano la chiusura già a gennaio 2015, senza dimenticare che tante hanno chiuso nel 2014. Un rischio che la Sinagi ha già individuato e perciò sta organizzando manifestazioni di protesta e scioperi.
Una questione scottante, basti pensare alle recenti chiusure della Padania, organo quotidiano della Lega Nord, l’Unità (giornale fondato da Antonio Gramsci), o ancora Europa organo dell’ex Margherita e poi del Partito Democratico e le sempre maggiori difficoltà del Manifesto e di altre pubblicazioni della sinistra, ultimi di una serie (circa trenta) che rischia di trasformarsi in strage di voci libere.
Un fabbisogno che diventa ammortizzatore e falce
Pluralismo in pericolo? Il rischio è forte se dovesse essere confermato il taglio dell’80 per cento rispetto a quanto previsto dalla legge sugli aiuti all’editoria entro la fine dell’anno.
Di fronte a questa situazione gli editori e le associazioni di categoria non potevano non far sentire la propria voce e per prima cosa hanno elaborato un documento comune per rivolgersi al governo per segnalare che la riduzione della spesa pubblica non si abbatta su un settore già stravolto dalla crisi economica delle aziende di pubblicità.
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha incontrato gli esponenti di alcune associazioni del settore editoriale e rassicura: cercherà di sensibilizzare Lotti. Una riforma si deve fare, dicono gli editori, ma ragionando dal 2015 e sul 2015. “I punti cardine di questa riforma – conclude la Bagnardi – dovrebbero riguardare il diritto al pluralismo, una riforma dell’editoria che tuteli l’intera filera produttiva, che parta e che si focalizzi fin da subito sul 2015 ed in tal senso manifestiamo il sostegno agli emendamenti presentati dalla commissione sul ripristino del sostegno al pluralismo nei prossimi tre anni”.
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