Pino Ricco, direttore responsabile di Barisera, spiegava così in un editoriale la decisione assunta dall’amministratore della società che editava il quotidiano, “in piena sintonia con giornalisti e poligrafici”, che “nell’intento di contenere le spese, ha scelto di interrompere le pubblicazioni non essendoci alcun tipo di certezza, e di ufficialità, sul futuro della testata e dei lavoratori”. Ripercorriamo insieme al direttore le vicende che hanno portato alla chiusura del giornale
Cosa rappresentava Barisera per il territorio ?
Certamente un punto di riferimento. Basti pensare alle migliaia di copie che i pendolari trovavano nel pomeriggio nelle stazioni delle Ferrovie del Nord Barese e delle Appulo Lucane quando tornavano a casa dopo una giornata di lavoro. La loro reiterata richiesta del giornale, una volta sospese le uscite, è stato un grande segnale di affetto, che ci ha fatto piacere nella drammaticità del momento.
Qual è il ruolo di un organo di informazione così legato al territorio?
Il ruolo di Barisera è stato sostanzialmente di servizio, puntando tutto sull’informazione. Era un’alternativa, anche in termini di prezzo. Il nostro motto era “Le notizie 12 ore prima”. Il giornale andava in distribuzione alle 16,30 e sostanzialmente anticipavamo più o meno tutto quello che il giorno dopo il lettore avrebbe trovato sui giornali del mattino. Il nostro orario di lavoro cominciava alle 8,30 e andava avanti fino alla chiusura dell’edizione, intorno alle 15. Tutti i giorni tranne la domenica. Ovviamente si puntava più sulla cronaca che sugli approfondimenti semplicemente perché il tempo a disposizione non consentiva altro.
Come ha resistito e per quanti anni di fronte alla crisi del settore?
Il giornale cartaceo è uscito per poco più di 16 anni, dal luglio del ’96 al novembre 2012. Il prezzo di copertina è rimasto sostanzialmente invariato al passaggio delle lire in euro (cioè da 1000 lire a 50 centesimi) e fino alla fine. Per restare in distribuzione sono state fatte scelte dolorose applicando pesanti tagli e facendo sacrifici che col senno di poi potrebbero anche sembrare inutili. Ma se non avessimo fatto così avremmo chiuso molto tempo prima di perdere il contributo sull’editoria.
Quali sono le specificità in una città come Bari tra cultura, commerci e cronaca (anche nera) per un giornale del pomeriggio?
Non credo ci sia una diversità tra Bari ed altri centri del Paese. Barisera copriva tutti i settori classici di un quotidiano. Era abbastanza seguito sia per la cronaca, la nera in particolare su cui puntavamo molto, ma anche per la politica. Come detto, il giornale era un punto di riferimento: negli anni era diventato una sorta di contenitore che ospitava praticamente tutti i giorni interventi dei rappresentati locali dei partiti, che attraverso noi si confrontavano. Così come erano seguiti lo sport, e non soltanto per il calcio, e le pagine di cultura e spettacoli, nelle quali abbiamo sempre cercato di dare spazio alle realtà espresse dal territorio. Insomma, credo di poter dire che fosse anche un’utile ‘vetrina’ a disposizione della città e di parte della provincia.
Come hai affrontato la chiusura del giornale e di cosa ti occupi adesso?
Io credo di aver pagato un prezzo piuttosto alto allo stress procurato dai lunghi anni di crisi e dallo spettro, poi concretizzatosi, della chiusura. Ho avuto gravi problemi di salute, proprio in contemporanea con la fase finale dell’esperienza di Barisera, e sono fortunato a poterlo raccontare. Non è stato facile adeguarsi alla realtà, soprattutto per una questione anagrafica, ho 56 anni, ed in un momento in cui il mercato dell’editoria, che in questa zona del Paese di fatto non esiste, offre ancor meno del solito. Attualmente sono docente al Master universitario di giornalismo, realizzato in partnership con l’Ordine, e lavoro in maniera saltuaria quando se ne presenta l’opportunità.
Ma non avete trovato nessuno che potesse aiutarvi?
Quando stai per salire sul…patibolo, sembra che ci si imbatta in due categorie di persone: quelli che se la cavano con una pacca sulla spalla e quelli che improvvisamente scompaiono o fanno finta di non conoscerti. Noi di questi ultimi ne abbiamo trovati parecchi. Abbiamo cercato chi potesse aiutarci, ma non c’è stato nulla da fare. Anche perché risollevare un’azienda con tanti dipendenti non è semplice. Soprattutto in questa fase.
Cosa perde il territorio dalla scomparsa di Barisera?
Quando un giornale chiude si possono fare due discorsi: quello che definirei ‘alto’ e che riguarda la pluralità d’informazione, che perde un pezzo di democrazia sotto forma di libera espressione e di alternativa; e quello che impropriamente definirei “basso”, ma altrettanto importante, ovvero le vicende umane che sono la diretta conseguenza. Quando i demagoghi e i politicanti dell’ultima ora, travestiti da verginelle, chiedono che il contributo ai giornali in cooperativa e non profit sia abolito, non solo non sanno di che cosa si sta parlando, ma non tengono minimamente in conto che queste realtà danno da vivere a migliaia di lavoratori e alle loro famiglie. Lavoratori, o meglio: professionisti, che spesso non potrebbero svolgere questa attività non avendo santi in paradiso. Questi demagoghi non sanno, o fingono di non sapere, che il contributo pubblico esiste anche in altri Paesi dell’Unione Europea; non sanno che nessun giornale al mondo, negli Stati Uniti, come in Europa o in Giappone, potrebbe sopravvivere col solo prezzo di copertina. Se poi questo prezzo di copertina è di 50 centesimi in una zona in cui si legge poco o niente come il Mezzogiorno d’Italia, chiunque capirebbe che l’alterativa alla rinuncia del contributo è la chiusura. Ovvero un’emorragia di posti di lavoro. Ma spesso per raccattare qualche voto è meglio fare il discorso che piace alla gente, piuttosto che agire in una logica di rilancio del settore. Con i piccoli giornali in Italia si è fatto come si fa con i non vedenti quando scoprono il falso cieco alla guida: a causa di uno che bara, penalizzano tutti. Solo che dimentichiamo che gli altri non ci vedono per davvero…
Che cosa resta di Barisera?
Sul piano personale uno splendido ricordo nonostante l’amaro finale. Per tenere in piedi questa realtà, sopportando incredibili sacrifici soprattutto di carattere economico, abbiamo messo in discussione i rapporti familiari, abbiamo rinunciato a seguire altre strade, abbiamo rotto amicizie decennali, abbiamo in qualche caso rischiato la vita. Ritrovarsi senza un lavoro tra i quaranta ed i cinquant’anni e anche di più, come quasi tutti i colleghi di Barisera, non è una passeggiata salutare. Ma è difficile da spiegare a chi fa della demagogia il proprio becero mestiere…
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