Editoria

Tagliare i fondi al pluralismo per i Cinque Stelle è una questione di “buon senso”

Togliere i fondi per l’editoria, asfissiando così decine di testate giornalistiche che danno lavoro a centinaia di persone in tutta Italia, per i Cinque Stelle, è una semplice questione di buonsenso.

In un lungo post che gli ex grillini hanno pubblicato sulle piattaforme social del Movimento le ragioni e le giustificazioni al taglio su Radio Radicale e ai contributi all’editoria.

“Diciamo finalmente le cose come stanno. Cori di giornali si levano accusandoci di volere “zittire”, “silenziare”, “limitare la libertà di espressione” della radio. Bene, qui nessuno mette in dubbio che Radio Radicale abbia svolto un servizio importante finora. E sarebbe bello che qualcuno smettesse di accusare per partito preso (è proprio il caso di dirlo…) e iniziasse a diffondere i dati veri”.

La verità “veramente vera” dei Cinque Stelle è presto snocciolata: “Radio Radicale è una radio privata, di partito (più del 62% delle quote è dell’Associazione politica Lista Marco Pannella), che lo Stato italiano ha finanziato fino ad oggi, per quasi 30 anni, con 250 milioni di euro (di soldi vostri). All’inizio per questa radio privata è stata fatta una gara ad hoc, con requisiti cuciti su misura ai quali solo Radio Radicale poteva rispondere, affinché le venisse dato in concessione il servizio di trasmissione delle attività di Camera e Senato. Doveva essere una soluzione temporanea, per consentire al servizio pubblico Rai di organizzarsi con un proprio canale radio (non lo diciamo noi, è scritto nero su bianco negli atti e nei decreti). Invece, dopo la prima gara negli anni ’90, non c’è stato più nulla: niente più gare (vere), né indagini di mercato, né valutazioni economiche, né organizzazione in Rai. Solo proroghe, proroghe e ancora proroghe di un privilegio a beneficio di una radio privata, fino ad oggi. Parliamo di ben 17 (diciassette) decreti mai convertiti in legge”.

Perciò la domanda che si fanno Di Maio e company è (secondo loro) lapalissiana: “Secondo voi, è questo il concetto di “libero mercato” e “democrazia”? Secondo noi, no, ed è per questo che adesso che siamo al governo vogliamo risolvere questa anomalia all’italiana, chiamiamola così”.

Perciò i Cinque Stelle, che da ultraprotezionisti (almeno nei programmi) si riscoprono iperliberisti quando c’è da affrontare l’argomento della stampa, aggiungono: “Nessuno qui vuole chiudere Radio Radicale. Noi vogliamo fare una cosa più importante: affermare che una radio privata, tra i cui soci c’è una holding finanziaria, la Lillo SpA, che vale due miliardi di Euro, non può stare in piedi solo grazie ai soldi delle vostre tasse, soldi pubblici. Radio Radicale non deve avere più diritti di altre radio private! Ci chiediamo perché il ministero dello Sviluppo Economico, guidato da Luigi Di Maio, dovrebbe continuare a dare a una radio privata circa 10 milioni di Euro ogni anno per un servizio che può costare molto meno! La vera domanda è perché nessun partito finora ha avuto il coraggio di dirlo e di cambiare”.

Tutto questo preambolo per giustificare, agli occhi dei loro inviperiti elettori, quello che pare un piccolo e brevissimo armistizio: “Ed è per questo che proprio oggi abbiamo depositato, d’accordo con la Lega, una mozione con cui facciamo prendere due impegni al Governo: il primo, è volto a non rinnovare la concessione senza una vera gara; e il secondo è a mettere in sicurezza e digitalizzare gli archivi di Radio Radicale, che rappresentano una risorsa preziosa”.

Infine la conferma di una visione delle cose che pare granitica: “Il MoVimento 5 Stelle è al governo solo per un motivo: per cambiare le cose. Con gradualità, con buon senso, ma anche con determinazione. Noi siamo per lo stop ai finanziamenti pubblici all’editoria e a favore del pluralismo, che è cosa ben diversa dal finanziare con soldi degli italiani qualche editore, come è avvenuto finora. Nessun italiano deve più pagare di tasca sua per giornali ed emittenti private. Ci sembra buon senso”. Lo stesso che Salvini, ormai da qualche anno, agita negli slogan dei suoi comizi…

Salvatore Monaco.

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