Tagli al fondo per l’editoria, una grande filiera italiana destinata al fallimento

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Secondo l'analisi della File i tagli al fondo per l'editoria condurranno al fallimento centiaia di quotidiani e periodici
Secondo l’analisi della File i tagli al fondo per l’editoria condurranno al fallimento centiaia di quotidiani e periodici

Una grande, incredibile, impresa italiana, costituita da tante piccole aziende, portatrici delle diversità che fanno grande questo Paese è destinata al fallimento”. Commenta così, in una nota polemica nei confronti del Governo Renzi, la Federazione Italiana Liberi Editori (File) l’ennesimo taglio al fondo a sostegno del pluralismo nell’editoria, che costringe alla chiusura molte testate. Ha giá chiuso La Padania, quotidiano della Lega, così come hanno chiuso circa 30 testate nei mesi scorsi ed a breve si troveranno nella stessa situazione altri 318 quotidiani e riviste, nonostante 15 milioni di lettori e gli sforzi costanti di chi lavora in questi giornali. Secondo le stime della File perderanno il lavoro circa 4.500 dipendenti diretti, che diventano 16.000 persone considerando l’indotto.
Come se non bastasse, molti editori chiuderanno rischiando anche degli involontari falsi in bilancio: i tagli arrivano solo a fine anno, quando i resoconti sono già stati stilati ed approvati.

La fine del pluralismo editoriale?
Secondo la nota, il finanziamento pubblico al comparto è passato in meno di 10 anni da circa 500 milioni di euro a meno di 50 “nessun settore ha subito tagli comparabili a quelli registrati negli stanziamenti a favore del pluralismo”. Si avverte la sensazione di un bavaglio alla stampa, visto e considerato che questo disegno è passato sotto un silenzio quasi disarmante di un mercato che sa essere tanto compiacente col potere quanto inflessibile con chi lo critica da sempre: con una passata di spugna sta per sparire tutto ciò che di indipendente, dalla cultura al cinema all’informazione, produce l’Italia. La stampa cattolica, l’editoria cooperativistica, il non profit stanno per svanire (vedi articolo).

Un settore massacrato
L’emergenza occupazionale in cui versa l’editoria, ma non solo, viene così ad aggravarsi a causa di questo colpo inflitto dal Governo. Un colpo che non bada troppo ai principi costituzionali e che si rivela, così, fatale.
Non è mai esistito un vero e proprio dibattito politico o istituzionale, si è badato solo a decreti legge e a spostare i numeri nelle tabelle per il risparmio della spesa pubblica (in teoria), che si è tradotto nel massacro del settore editoriale. E poco importa se gli ammortizzatori sociali costano più dell’intervento pubblico.
In totale sono 7.656, si legge nella nota della File, le pagine che non verranno più stampate, nonostante il pubblico composto da 15 milioni di italiani e gli appelli, tra cui quello del Presidente Napolitano, al pluralismo ed alla differenza di pensiero come valori da tutelare. L’Italia rappresenta l’eccezione in Europa, dimenticando che proprio il pluralismo rappresenta uno dei valori fondanti dell’Unione.
“Quando ci sono troppi giornali – concludono gli editori della File – non se ne avverte l’esigenza. Ma quando ne rimarranno pochi, mancherà l’aria”.

La nota in cifre
287 milioni: valore della produzione generato
20 milioni: asse, ritenute e contributi previdenziali versati all’anno
15 milioni circa: i lettori medi di quotidiani o periodici chiusi o in procinto di cessare l’attività
16.500: gli occupati nell’indotto che si rischia di espellere dal circuito produttivo e di far ricadere sul welfare
7.656: pagine al giorno di informazione che non ci sarebbero più
4.500 circa: gli occupati diretti che perderanno il posto di lavoro

Andrea Esposito

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