E arrivò la difesa d’ufficio del Movimento Cinque Stelle. Sui tagli, il partito affida al giornalista, ex direttore de La Padania e già vicedirettore e direttore vicario di Libero (due testate che attingevano a piene mani dai contributi pubblici), ex leghista e poi folgorato sulla via del Movimento, Gianluigi Paragone, la replica alle durissime accuse che, ormai da ogni parte, piovono in testa al governo gialloverde.
La difesa di Paragone arriva dal Blog delle Stelle in un video, che come di prassi è stato “verbalizzato” in un post. In cui definisce “casta” i piccoli editori e rispedisce al mittente le accuse di voler soffocare la libertà di stampa in Italia.
“Siccome lo dicevo prima, a maggior ragione posso ribadirlo adesso: i giornalisti italiani sono una Casta, una delle Caste che esistono in Italia. Per questo motivo, quando cerchi di riformare un comparto, nel caso di specie il comparto dell’editoria, ecco che i sacerdoti di questa Casta immediatamente emettono sentenze”.
E ancora: “Secondo la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e secondo l’Ordine dei giornalisti, noi del MoVimento 5 Stelle e del Governo avremmo cominciato una sorta di regolamento di conti per seguire i desiderata sia del vicepremier e ministro Luigi Di Maio, sia del Sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi. E quale sarebbe l’accusa che ci muovono? Quella di “soffocare il pluralismo dell’informazione e di colpire il diritto dei cittadini ad essere informati” con il taglio dei fondi per l’editoria. Bene, che il taglio dei fondi per l’editoria ci sia, è vero. Che sia richiesto dagli stessi cittadini è altrettanto vero. E che i cittadini e i lettori stiano abbandonando il sistema dell’editoria tradizionale è fuori dubbio”.
Perciò Paragone aggiunge: “Dunque, poiché molti giornalisti e soprattutto tutti i direttori si vantano sempre di una frase, e cioè “noi non abbiamo altri padroni se non i nostri lettori, noi non abbiamo altri azionisti se non i nostri lettori”, ecco che quando i lettori se ne vanno e non comprano più i giornali piccoli, medi o grandi, ecco che gli editori e i giornalisti si lamentano e chiedono ai governi di intervenire. Chiedono appunto di non tagliare i fondi per l’editoria, che sarebbe un po’ come dire: “Cari nostri azionisti, (cioè cari lettori) voi avete decretato l’insuccesso o la morte dei piccoli, medi e grandi giornali, ma in qualche modo dovete comunque continuare a pagarli attraverso i soldi per l’editoria, quindi attraverso soldi pubblici, soldi di tutti. Soldi, cioè, anche di coloro che liberamente avevano scelto di non comprare più quel tipo di giornale”.
Perciò, per l’ultraprotezionista Paragone, che sull’editoria diventa evidentemente iperliberista, la conseguenza è una sola: “Non c’è nessun tentativo né di soffocare il pluralismo dell’informazione né di imbrigliare il giornalismo, come qualcuno lamenta nel nome della Casta. Ma c’è nient’altro che un riordino di un comparto ed è un riordino che parte da un dato di fatto: se è vero che gli unici azionisti sono i lettori e se è altrettanto vero che i lettori non ne vogliono più sapere di un giornale, non è concepibile che indirettamente tutti gli italiani debbano concorrere a tenere in vita dei giornali che in edicola non funzionano più”.