La vera storia dei tagli all’editoria è questa: ci sono (c’erano) giornali e tv che hanno (avevano) diritto a un finanziamento diretto, ricevuto attraverso un meccanismo che si chiama “diritto soggettivo”, in base al quale le banche concedevano una fideiussione che consentiva di sopravvivere in attesa del finanziamento, che arrivava due anni dopo sotto forma di rimborso. Il diritto soggettivo scatta (scattava) per i giornali di idee, legati a un movimento politico e agganciati a un gruppo parlamentare, o per i giornali editi da cooperative di giornalisti. Tutto accadde quando fu approvato il decreto Tremonti 112/2008 che di fatto ha soppresso il carattere di diritto soggettivo dei contributi pubblici all’editoria e ha stabilito che i fondi verranno erogati in base all’andamento dei conti dello Stato. Nel maxi emendamento alla finanziaria, quei finanziamenti vengono tolti. Si oppose il Pd, si opposero leghisti ed ex An, tutti partiti o ex partiti con giornale a carico: quindi ci sarebbe stata una maggioranza, in commissione, per bocciare quella norma. Ma quando si trova la “quadratura”, il maxiemendamento venne approvato in dieci minuti, senza prendere in considerazione alcuna modifica, probabilmente promettendo a chi nella maggioranza non condivideva alcune sue parti che verrà posto rimedio in seguito. Subito cominciarono a correre voci su promesse di Tremonti, interventi di Letta, sfuriate di Bonaiuti (che aveva la delega per riordinare il settore, e ci stava provando). La Federazione della stampa e le associazioni di settore si mobilitarono. Oltre ai tagli e all’introduzione del criterio del diritto soggettivo, fu modificato il parametro di riferimento per ottenere i contributi: non più quello della tiratura e della diffusione, bensì quello del distribuito e del venduto in edicola o in abbonamento, che non doveva essere inferiore al 15% per i giornali nazionali e al 30% per quelli locali.
Più o meno apertamente, i giornali di partito si appellarono a Fini, notoriamente legatissimo al direttore del Secolo Flavia Perina. La dinamicissima Perina fissa anzi un appuntamento cosiddetto segreto, per i direttori delle cinque testate politiche a rischio chiusura, con il presidente della Camera. Durante l’udienza, Fini non si limitò a promettere aiuto, ma chiamò Tremonti e lo mise in viva voce. Il ministro assicurò ai direttori che non intendeva far loro danno e che avrebbe ripristinato i fondi al più presto, forse a gennaio in un decreto, ma non per tutti. Accennò vagamente a «testate storiche» che non potevano chiudere. I giornali politici erano salvi, anche il manifesto e l’Avvenire, per gli altri si vedrà. Nel contesto generale della crisi economica e finanziaria, i tagli all’editoria furono inevitabili: il fondo per il 2009 dimagrirà così di ben 120 milioni. In compenso, fu garantito al 100% il pagamento dei contributi diretti per il 2007. A fare il punto della situazione – dopo le polemiche fu l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, che aprì al confronto con il Parlamento (“Se ci saranno iniziative, ben vengano”), ma insieme invitò le Camere a “evitare soluzioni pasticciate, magari non trasparenti” spiegò Bonaiuti davanti ai parlamentari della commissione. Ma avvertì: “E’ finito il tempo delle vacche grasse” e dunque “i tagli erano, sono e saranno sempre più necessari”, anche perché in assenza di interventi “il problema si sarebbe riproposto a medio-lungo termine”. In ogni caso, il governo “intendeva preservare i contributi diretti”: “Anzi – rivendicò Bonaiuti – nel 2004-2005 fummo ancora io e Masi, anche allora capo del Dipartimento per l’informazione e l’editoria, a difenderli quando il commissario europeo Mario Monti aprì una durissima procedura di infrazione contro l’Italia, prospettando l’idea degli aiuti di Stato. Nel corso degli ultimi anni la situazione si è notevolmente aggravata. Molte testate (anche storiche) hanno chiuso e non vi è certezza sul futuro. Forse avevano ragione Vita e Giulietti quando invano chiedevano gli Stati Generali dell’editoria. Forse sarebbe stata l’occasione per riformare per davvero l’intero sistema, anche quello delle edicole.