SVEN OLAF KAMPHUIS, ECCO L’IDENTIKIT DEL PRESUNTO AUTORE DEL RAID INFORMATICO PIU’ GRANDE DEL MONDO

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L’autore di quello che è stato definito “il più grande attacco alla rete internet” mai visto sulla faccia della terra avrebbe ora un nome ed un volto.
Si tratterebbe, infatti, di Sven Olaf Kamphuis, 35 anni, fondatore e presidente della società olandese di hosting CyberBunker, balzato improvvisamente agli “onori” della cronaca (il New York Times e l’Herald Tribune gli hanno dedicato la copertina di prima pagina) per essere stato, almeno così si dice, il deus ex machina del raid informatico globale che ha fatto tremare i server dei Paesi di mezzo mondo.
Quanti lo conoscono lo descrivono come un giovane dotato di una buona dose di spirito ribelle da web fighter e un pizzico di mistero. Inoltre sarebbe considerato una specie di “allievo di Assange” da cui avrebbe appreso l’arte di diventare “personaggio del web”.
Il resto lo fanno le poche fugaci dichiarazioni rese in pubblico.
Striminziti ingredienti, insomma.
Più che sufficienti, però, per stuzzicare la curiosità della stampa, finire sulle prime pagine dei tabloid britannici (tra l’altro la stessa Inghilterra figura tra i paesi vittima dell’attacco: il sito web della Bbc è stato messo fuori uso per diverse ore) e scatenare la furia degli inquirenti.
Ma chi è veramente quello che è stato ribattezzato come il “Principe dello Spam”? Di lui, a dire il vero, si sa poco e niente.
O meglio: il profilo che si riesce a tracciare del misterioso cyber pirata, è riconducibile ad alcune tracce digitali rese volutamente reperibili sulla rete.
Dal suo profilo Facebook, ad esempio, l’olandese ribelle si diverte a presentarsi come “ministro delle Telecomunicazioni e degli Esteri della Repubblica di Cyber Bunker”.
Inoltre dice di abitare in Spagna (la sua posizione fisica al momento non è reperibile) e, come prevedibile, si dichiara sostenitore di “Anonymous”, il più famoso pirata del web e, quasi a voler rincarare la dose, del Partito pirata tedesco.
Ma come si pone il re di CyberBunker nei confronti di quanti lo vorrebbero, al momento, come il principale se non l’unico indiziato del blitz informatico che ha messo in ginocchio i portali di mezzo mondo? Semplice: Olaf fa spallucce e rispedisce al mittente ogni accusa.
Ricordiamo che la rappresaglia tecnologica andata in scena nei giorni scorsi è scaturita da alcuni dissidi nati tra Spamhouse, un’organizzazione non profit anti-spam e il server stesso di CyberBunker, il gruppo orange che fa capo a Kamphuis, che si è visto catapultato, di punto in bianco, nella lista dei siti sospetti.
Da qui la sensazione che dietro il maxiblitz ci sia stato una sorta di tentativo di vendetta messo in atto dal giovane olandese nei confronti dell’organizzazione che lo aveva praticamente messo al bando.
Sensazione, esatto.
Perché al momento di prove concrete non se ne vedono all’orizzonte.
E il cecchino del web, nonostante si sia reso latitante (un fatto, questo, che non migliora certo la sua posizione) nega ogni accusa con fermezza.
Intanto le indagini della magistratura olandese proseguono, in virtù di alcuni indizi (un server dei Paesi Bassi ha riferito al New York Times di avere trovato tracce digitali di una società legata a Khampuis nel traffico diretto contro Spamhause) che, a detta dei soliti beninformati di turno, condurrebbero alla colpevolezza di Olaf.
Ma il condizionale in questi casi è d’obbligo, almeno fino a quando non si saranno accertate le colpe.
Il dubbio, seppur minimo, infatti, che Kamphuis possa essere la pedina di qualcun altro (o un semplice “prestanome”) non è del tutto da escludere.

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