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Stampa on line, quale confine tra giornalismo e pubblicità?

Sempre più sottile il confine tra giornalismo e pubblicità nella stampa on line

Il confine tra giornalismo e pubblicità nella stampa on line è sempre più labile e rischia di rovinare tutto il comparto. Si è espresso così, all’inizio del 2014, Tom Foremsky, uno tra i più importanti osservatori dell’editoria digitale, parlando del management del New York Times reo di prendere “cattive decisioni economiche”. In un articolo apparso su Memeburn Foremsky ha criticato duramente la decisione del Times di adoperare il cosiddetto native advertising, una forma di pubblicità ingannevole (secondo alcuni), il cui uso sempre più esteso avrebbe dato una forte spinta al crollo del settore dei media.
La questione ha una triplice valenza, economico-industriale, culturale e sociale ed ha acceso una discussione nel mondo del giornalismo, anche perché sembra che la Cnn si starebbe strutturando per seguire la strada del Ny Times e per ricorrere quindi al native ad.

New York Times e la caduta del “muro”
Ciò che separa giornalismo e pubblicità è una linea sempre più sfumata che si traduce in una contaminazione tra raccolta di informazioni ed inserzioni pubblicitarie. Questa contaminazione tiene però conto anche di un terzo soggetto: l’utente finale, ossia il lettore. Il fenomeno si è espanso a macchia d’olio ed è ormai chiaro anche alla stampa italiana che chi produce l’informazione deve oggi pensare anche al confezionamento ed alla promozione verso la totalità degli utenti finali (non solo i lettori, ma anche investitori e finanziatori). Il giornalismo deve quindi mediare tra i codici tradizionali e sedimentati per un modo corretto e rigoroso nel fare informazione ed i nuovi modi per produrre tale informazione. In pratica si tratta quasi di applicare un brand all’informazione prodotta per allargare la notiziabilità. Secondo un report stilato dal Ny Times lo scorso marzo (e riproposto da BuzzFeed) “una maggiore collaborazione, ben fatta, non presenta alcun pericolo per i valori dell’indipendenza giornalistica”. Ciò che sostiene il Times è che la caduta di questo muro sia auspicabile in tempi rapidi, per la salute e la longevità dell’impresa giornalistica.

Cnn e sponsorizzazioni
Secondo una notizia diffusa da poco dalla Columbia Journalism Review, anche la Cnn International starebbe pensando di ristrutturare la propria programmazione all’interno di una rete di contenuti legati a sponsorship. La rete britannica avrebbe fornito assicurazioni sul rispetto del codice sulle trasmissioni d’oltremanica. Tuttavia secondo il codice stesso “notiziari e programmi di attualità non possono essere sponsorizzati. Con l’obiettivo di garantire che i principi dell’indipendenza editoriale come: distinzione tra pubblicità e contenuto editoriale, trasparenza degli accordi commerciali e tutela dei consumatori, siano mantenuti”.
Cnn international ha dato una libera interpretazione del regolamento: ha inserito sezioni sponsorizzate (legate a stili di vita, ad esempio) all’interno di programmi di informazione e d’attualità. Brand journalism e pubblicità nativa, ben accetti o meno, guadagnano spazio in ogni contesto informativo.

Brand journalism e native ad in Italia
Di fronte a questi fenomeni anche le testate giornalistiche italiane devono riflettere ed organizzarsi in base a nuovi modelli, dato anche il trend in calo dal 2000 della pubblicità tradizionale.
I primi a percorrere questa strada sono stati il Corriere della Sera e Repubblica, rispettivamente con le pagine di “Tempi Liberi” e di “Rcult”. Nelle pagine di Tempi Liberi, dedicate al lyfestyle, riforma grafica e aperture su famiglie e singoli, iniziative strutturate per il digitale e interazione sui social network, permettono al giornale di monitorare stili di vita, abitudini degli italiani in generale e dei propri lettori in particolare.
Così come già avviene negli Usa, anche il brand Corriere “suggerisce” ai propri lettori uno stile di vita da seguire con un coinvolgimento su più livelli, capace di sfruttare le nuove tecnologie e molte iniziative, con una grande ripercussione a livello sociale. Sono misure di sicuro controverse, tuttavia guardando ai numeri brand journalism e native ad rappresentano sicuramente dei validi strumenti per supportare la vita di un giornale. E di questi tempi, soprattutto in Italia, non è poco.

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