La procura della Repubblica di Cagliari ha inviato a tutti i provider internet un ordine finalizzato a bloccare a tappeto siti e indirizzi IP connessi alla pirateria. Un ordine che secondo gli esperti è inaudito, perché l’autorità giudiziaria chiede loro di trasformarsi in poliziotti alla ricerca di illeciti presenti e futuri.
È l’estrema conseguenza di un ordine di oscuramento che il tribunale di Cagliari aveva mandato ai provider ad aprile, contro il sito BTJunkie (motore di ricerca di file torrent, utilizzati per scaricare anche opere coperte da diritto d’autore). Quel documento però conteneva parecchie falle, che ora la Procura sta provando a chiudere. Primo: circa metà dei provider non l’avevano ricevuto. Secondo: erano i nati siti che permettevano comunque di accedere a BTJunkie (in termine tecnici, si chiamano proxy).
Agli utenti bastava insomma collegarsi a quei siti per aggirare l’oscuramento di BTJunkie e scaricare normalmente. Allora la Procura ha chiesto ieri di oscurare il proxy più noto per questo scopo proxyitalia.com (ormai irraggiungibile) e il suo indirizzo IP.
Non solo, e qui sta il bello: nell’ordine si chiede ai provider anche di oscurare tutti gli alias e gli indirizzi IP, presenti e futuri, associati a quel sito. Il tribunale sa bene infatti che su internet nascono sempre nuovi indirizzi per aggirare i blocchi. Già adesso e da tempo ci sono altri indizzi che svolgono le stesse funzioni di Proxyitalia.
Qui
nascono i problemi e le polemiche: se i provider dovessero eseguire l’ordine della Procura dovrebbero indagare ogni giorno alla ricerca di indirizzi da oscurare: lavoro da poliziotti, insomma. Con la minaccia, se non lo fanno, di essere accusati del reato di “favoreggiamento della pirateria”, come capitato nei giorni scorsi 1 a due di loro, Fastweb e Ngi. Secondo la Procura, infatti, questi due non avevano oscurato correttamente BTJunkie, circostanza che Ngi nega, mentre Fastweb dice che per un errore tecnico il blocco funzionava solo in parte.
I provider non ci stanno a diventare polizotti e, a quanto risulta, si preparano a dare battaglia per evitare questo rischio. “L’ordine della Procura è inammissibile perché viola l’articolo 17 del decreto 70 del 2003, secondo cui i provider non possono avere un compito di vigilanza”, dice a Repubblica.it Guido Scorza, avvocato esperto di questi temi. “E’ una violazione gravissima dei principi di responsabilità penale e personale”, aggiunge Fulvio Sarzana, un altro avvocato in materia di diritto di Internet. “Il nostro ordinamento impone di indicare con precisione l’oggetto del reato”, continua.
La battaglia tocca i massimi sistemi: la libertà di Internet, i diritti degli utenti. Se passa, in giurisprudenza, il principio secondo cui i provider devono verificare illeciti presenti e futuri, il rischio è che diventino vigilantes. Esperti e aziende del settore lanciano un allarme: in nome del copyright, i provider rischiano di perdere il proprio ruolo di intermediari neutri (semplici fornitori di un accesso al web). Ruolo che è riconosciuto dalla normativa comunitaria sul commercio elettronico e che è alla base del funzionamento libero di Internet.
Ma l’industria del copyright adesso si sente alle strette e ha bisogno di coinvolgere, in tutti i modi, i provider nella lotta. “Solo con il loro contributo possiamo contrastare la pirateria”, dice Enzo Mazza, presidente di Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana). A maggior ragione dopo che ha perso la speranza di poter fare oscuramenti facili e veloci tramite Agcom (Autorità garante delle comunicazioni). La precedente versione della delibera Agcom sulla pirateria le permetteva infatti di oscurare i siti esteri senza passare dalla magistratura. Dopo le proteste di utenti, esperti e politici, però, il nuovo testo (ancora provvisorio) della delibera ha eliminato questo potere.
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