Era il 23 settembre 1985 quando la camorra uccise il giornalista del Mattino Giancarlo Siani. Ed oggi, in quello stesso punto di Napoli dove il giovane cronista fu trucidato dai sicari, l’auto-simbolo delle sue lotte, la verde Mehari è ripartita.
E’ stato Roberto Saviano a metterla in moto in una staffetta che vuole lanciare un messaggio ben preciso: la camorra non è affatto più forte della voglia di raccontare la verità.
Siani, la verità di clan come Gionta e Nuvoletta la raccontò e come, tanto da essere ammazzato 28 anni fa. Una storia, la sua, che purtroppo si è ripetuta spesso in Italia. Da Nord a Sud della Penisola, infatti, negli ultimi 50 anni sono stati uccisi 26 tra giornalisti e operatori dell’informazione mentre il numero dei professionisti dell’informazione minacciati o malmenati neanche si conta più.
”In viaggio con la Mehari”, iniziativa che parte oggi vuole fare proprio questo: riconnettere le storie a volte dimenticate di giornalisti, fotoreporter, operatori dell’informazione, donne e uomini della società civile uccisi, spesso anche solo per stare nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La Mehari riprende, dunque, il suo cammino da dove si è fermata. A guidarla saranno volti conosciuti del mondo del giornalismo, della cultura, della giustizia legati alla storia di Giancarlo Siani e a quella delle vittime innocenti di criminalità, come don Luigi Ciotti, Giovanni Minoli, Alfredo Avella, del coordinamento familiari vittime innocenti criminalità. Una staffetta, quella iniziata alle Rampe Siani, che terminerà alla sede del quotidiano Il Mattino dove l’esempio del giornalista ancora una volta rivivrà.
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