La Siae risponde a chi in queste ore l’ha accusata di voler perseguire anche i privati e di voler sancire la morte dell’”embed” per la condivisione in rete dei trailer cinematografici. Ma i dubbi permangono.
La diffida inviata nei giorni scorsi dalla Società Italiana Autori ed Editori verso una trentina di siti online invitati a pagare le licenze per le traccie audio inserite all’interno dei trailer cinematografici da loro ospitati, è bastata per far accendere le polemiche. Una reazione a catena che ha imperversato su internet, e fomentata anche dalla natura approssimativa di un’imposizione che avrebbe potuto riguardare qualsiasi piattaforma di condivisione o sito online che incorporasse attraverso l’”embed”, suddetti trailer.
Il primo a sentirsi chiamato in causa è stato YouTube, il portale di condivisione di video facente capo a Google che sulla questione si difende, dicendo di avere dalla sua un quadro normativo trasparente grazie agli accordi pregressi stretti proprio con la Siae nel 2010 e alla tutela tecnologica offerta dal sistema del “Content ID”. Lo strumento che da cinque anni consente a tutti i detentori di copyright di controllare e tutelare i propri diritti con un metodo di rintracciamnto automatico dei file audio o video presenti su YouTube.
Se la “multinazionale dell’embed” ed i suoi utenti dovrebbero dormire sogni tranquilli, più preoccupati risultano i blog ed altri siti online che fanno dell’embed di trailer una pratica assai ricorrente.
La situazione di incertezza generatasi sulla rete, oltre al disappunto dimostrato da addetti ai lavori come il regista Carlo Verdone, la produttrice Federica Lucisano e da ultimo l’attore Massimo Boldi (per citarne solo alcuni) ha indotto la Siae a porre dei paletti e a precisare le modalità del proprio intervento.
Il “casus belli” riguarda i compensi che i produttori dell’ANICA (i proprietari dei trailer) pagano alla società per l’uso della musica, una licenza che sarebbe valida per tutti i contenuti audiovisivi ed estesa a tutti quei siti commerciali di trailer che finora non avrebbero rispettato tali diritti sulle traccie sonore. Dunque le licenze ed i relativi compensi sarebbero previsti solo per coloro che vendono pubblicità e lucrano sui contenuti, dispensando (solo apparentemente) quei siti che non costruiscono un business sui trailer ospitati ed escludendo inoltre ogni altro tipo di video dotato di colonna sonora. Le tariffe vanno dai 450 euro al trimestre (1800 euro all’anno) per la pubblicazione di non oltre 30 trailer in contemporanea, una licenza che peraltro non renderebbe possibile l’allestimento di un archivio storico dei trailer passati.
Se da un lato la Siae prova a dismettere il ruolo affibiatole di “ammazza-embed”, dall’altro ignora una questione fondamentale. La stragrande maggioranza dei blog o dei più piccoli siti online o magazine dedicati nello specifico alla cinematografia, fanno uso di Google Adsense o di qualsiasi altro strumento di gestione delle inserzioni publicitarie anche per offrire contenuti di qualità, ed ospitando trailer che promuvono in parte a titolo gratuito.
Un aspetto che rende sempre meno evidente il distringuo tra business e non business su internet e dunque la capacità di identificare i veri soggetti interessati dal pagamento delle licenze.
Alberto De Bellis
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