Berlusconi ha abbandonato la scena ma ciò non basta a tenere lontani i tentativi di porre maggiori restrizioni all’uso delle intercettazioni telefoniche ed evitare la loro diffusione sui mezzi di informazione.
«Coprire con il segreto le intercettazioni fino allo stralcio di quelle irrilevanti e rafforzare il controllo deontologico per magistrati, avvocati e giornalisti. E se la deontologia non basta, allora far scattare sanzioni pesanti», è l’“indicazione di metodo” arrivata in questi giorni dal Consiglio nazionale forense durante il VII Congresso.
Era il 2008 quando l’allora Consiglio dei Ministri, il 13 giugno, approvava all’unanimità un disegno di legge in materia di intercettazioni, successivamente presentato alla Camera dal Ministro della Giustizia Alfano. Si trattava del ddl n. 1415, recante “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”. Il provvedimento, oltre a contenere una nuova disciplina delle intercettazioni, persegue la finalità di rendere più rigorosi i divieti di pubblicazione degli atti. In particolare, l’art. 2 prevede il divieto assoluto di pubblicazione degli atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del P.M. o al fascicolo delle investigazioni difensive, anche una volta venuto meno il “segreto istruttorio” e fino alla conclusione delle indagini preliminari o – se prevista – dell’udienza preliminare. La medesima disposizione contempla, inoltre, il divieto di pubblicazione anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui fosse stata ordinata la distruzione.
Durante l’iter alla Camera il ddl diventa un tira e molla tra maggioranza e opposizione, tra politici e giornalisti, tra garantisti e liberisti. E mentre arrivano i no secchi della Federazione della Stampa, dell’Ordine dei Giornalisti, dell’ANM, dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, dell’Unione delle Camere Penali Italiane, il proliferare degli scandali politici, la pubblicazione di scottanti intercettazioni nell’inchiesta della Procura di Napoli sugli appalti, dà nuovo impulso al disegno di legge.
In data 11 febbraio, la sesta Commissione del CSM approva a larga maggioranza un parere fortemente negativo sul ddl 1415, definendolo “un ostacolo allo svolgimento delle indagini”, tale da vanificare “gli sforzi investigativi delle forze di polizia e delle procure” e da generare “la materiale impossibilità di celebrare i processi”; in sintesi, un testo “pericoloso, irrazionale, problematico, distonico, incongruo, incoerente, eccentrico e … non condivisibile”. Pochi giorni dopo viene organizzata una manifestazione da Fnsi, Fieg, Unci e Ordine dei giornalisti per dire no al “bavaglio all’informazione”.
Il 4 marzo si svolge a palazzo Grazioli un vertice di maggioranza in cui si raggiunge un’intesa circa le modifiche al ddl Alfano, che prevede: l’ampliamento del diritto di cronaca con la possibilità per i giornalisti di pubblicare per riassunto tutti gli atti delle indagini preliminari non più coperti da segreto; la riduzione delle sanzioni; la formulazione (voluta da Berlusconi) del presupposto degli “evidenti indizi di colpevolezza”, quale requisito per l’autorizzazione delle intercettazioni.
Anche se le critiche al ddl non si placano – il presidente dell’ANM Palamara afferma, infatti, che “cambiare gli aggettivi non fa venir meno i limiti imposti alle intercettazioni” – il Governo pone la questione di fiducia sul maxiemendamento che reca la firma del Ministro Alfano e che prevede il requisito della sussistenza di “evidenti indizi di colpevolezza” – fatta eccezione per i reati di mafia e terrorismo, per i quali erano richiesti “sufficienti indizi di reato” – ai fini dell’autorizzazione ad intercettare. La Camera approvava a maggioranza ma il Presidente della Repubblica dichiara: “Mi riservo di esaminare il testo approvato, seguirò l’iter successivo e prenderò le decisioni che mi competono”.
Critiche al ddl arrivano anche dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani: in una nota, Frank La Rue critica il ddl perché avrebbe potuto minare “il diritto alla libertà di espressione in Italia”. La Rue aggiunge che le sanzioni previste per editori e giornalisti sono “chiaramente sproporzionate rispetto al reato” e concludeva sostenendo l’opportunità di “una missione Onu nel 2011 per esaminare la situazione della libertà di stampa in Italia”. Il 18 luglio un altro allarme viene lanciato dal Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Corrado Calabrò che afferma: “senza libertà di informazione, non
siamo cittadini, ma sudditi”.
L’iter del ddl S. 1611 riprende il 20 gennaio 2010 al Senato. Intanto arriva lo scandalo relativo agli appalti del G8 che investe il sottosegretario Bertolaso e la Protezione civile e la diffusione delle intercettazioni di conversazioni tra il Presidente del Consiglio, il direttore del Tg1 Augusto Minzolini e il commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi. Tali vicende imprimono una nuova accelerazione all’iter del ddl che, nonostante lo scontro all’interno della maggioranza tra il Presidente della Camera Fini e
Berlusconi – che inizia a considerare possibile una rottura con il cofondatore del PdL – passa al Senato con la questione di fiducia.
Durante l’esame in Commissione Giustizia della Camera (C. 1415-B) viene elaborata una proposta alternativa volta a prevedere un’udienza-filtro attraverso la quale eliminare, dagli atti che si depositano, quelle parti che possono incidere sulla vita delle persone, nonché l’istituzione di un giurì per la lealtà dell’informazione. La maggioranza lavora per raggiungere un accordo con i finiani e cerca disperatamente di accelerare l’iter del ddl annunciandone l’approvazione entro la pausa estiva ma la risposta del Presidente della Camera Fini è la seguente: “l’estate finisce il 21 settembre”.
In Commissione Giustizia l’esame del ddl 1415-B si conclude il 22 luglio con il voto contrario di PD, IdV e Udc.
Il 30 luglio, alla Camera dei Deputati, si costituisce il gruppo parlamentare Futuro e Libertà per l’Italia, composto da 33 deputati vicini al Presidente della Camera Gianfranco Fini. Lo stesso giorno, alla Camera, viene avviato l’esame del ddl profondamente modificato. In particolare, con riguardo alla disciplina della pubblicazione degli atti si stabilisce la copertura della documentazione e degli atti da segreto fino alla conclusione dell’udienza-stralcio e si conserva il divieto di pubblicazione – anche parziale o per riassunto – sia della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui fosse stata ordinata la distruzione, sia della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazione telematica riguardante fatti, circostanze e persone estranei alle indagini, di cui fosse stata disposta l’espunzione. Per il tema della responsabilità degli editori, viene stabilito di limitarla al caso di pubblicazione di intercettazioni da distruggere o da espungere e che, con riguardo alla nuova fattispecie di reato relativa alle
riprese e registrazioni fraudolente, la sanzione viene ridotta.
Alla ripresa autunnale dei lavori parlamentari la prosecuzione dell’esame del provvedimento non viene calendarizzata dalla Conferenza dei capigruppo, al punto che lo stesso Presidente della Repubblica – dalla Biennale Architettura di Venezia – riferendosi al ddl intercettazioni, domanda ai
giornalisti: “Sapete dirmi che fine ha fatto quella legge?”. Intanto 28 ottobre viene presentato un progetto di legge di iniziativa parlamentare (n. 3821) – il cui primo firmatario è l’on. Luigi Vitali (PdL) – recante
“Introduzione dell’art. 315 bis del codice di procedura penale, concernente la riparazione per ingiusta
intercettazione di comunicazioni telefoniche o di conversazioni”. Esso consta di soli cinque articoli ed è
finalizzato a estendere all’ambito delle intercettazioni la disciplina prevista dall’art. 314 c.p.p., in materia di
equo indennizzo per ingiusta detenzione. L’art. 1 del progetto di legge, infatti, dispone: “Chi è stato assolto con sentenza irrevocabile perché il fatto
non sussiste, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato da un’imputazione
formulata nell’ambito di un procedimento penale nel quale è stato destinatario di intercettazioni di
comunicazioni telefoniche o di conversazioni ha diritto a un’equa riparazione per l’intercettazione
ingiustamente subita”. Tale diritto viene esteso anche a coloro nei cui confronti fosse stato “pronunziato
decreto od ordinanza di archiviazione, ovvero sentenza di non luogo a procedere, nonché in favore dei terzi, estranei alle indagini”, intercettati occasionalmente. I primi mesi del 2011 sono caratterizzati dalla polemica riguardante il progetto di legge dell’on. Vitali, volto –
secondo l’on. Palomba (IdV) – a punire i giudici che avevano autorizzato le intercettazioni nonché – a parere
dell’on. Ferranti (PD) – a “distrarre l’opinione pubblica dalle gravi imputazioni di concussione e sfruttamento
della prostituzione” del Presidente del Consiglio, il quale risultava iscritto, dal 21 dicembre 2010, nel
registro degli indagati della Procura di Milano, nell’ambito del c.d. “caso Ruby”.
Nei primi giorni di febbraio, mentre il Presidente del Consiglio torna ad annunciare una nuova legge in materia di
Intercettazioni, la Consulta Giustizia del PdL incarica il senatore Centaro di preparare
una relazione circa le “criticità” del ddl intercettazioni – nel testo approvato dal Senato – al fine di redigere un
maxi-emendamento al medesimo, da sottoporre all’Aula nel mese di aprile, proprio quando a Milano avrebbe avuto inizio il processo per il Rubygate.
Agli inizi di aprile, viene assegnato alla Commissione Giustizia della Camera il progetto di legge C. 4134,
recante “Modifiche al codice di procedura penale in materia di intercettazioni e controlli preventivi sulle
comunicazioni”, presentato dall’on. Maurizio Bianconi (PdL). Quest’ultimo, alla notizia
dell’assegnazione in Commissione, dichiara: “Mi avevano detto che avrebbe fatto casino … ma nemmeno
io pensavo che venisse assegnato in Commissione”. Il medesimo precisa che si trattava di un’“iniziativa
legislativa … prettamente personale” e che la ratio di essa consisteva nel “collocare il tema (delle
intercettazioni) nel codice di procedura penale all’interno delle fonti di investigazione semplice, cassandolo
dalla collocazione nel testo vigente” tra i mezzi di ricerca della prova. In particolare, infatti, l’art. 2 del pdl
dispone: “In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati
nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva … e
le notizie acquisite a seguito delle attività medesime non possono essere menzionate in atti di indagine né
costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate”. Immediata era la reazione delle opposizioni
che denunciavano un nuovo “attentato alla libertà di informazione”.
Il 14 aprile viene presentato alla Camera un ulteriore progetto di legge di iniziativa dell’on. Domenico Scilipoti (Iniziativa Responsabile), volto a intervenire sull’art. 192 c.p.p. – recante “Valutazione della prova” – così da prevedere che le conversazioni intercettate non potessero costituire di per sé prove, ma necessitassero di un riscontro e di una valutazione da parte del magistrato, come se si trattasse di dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso.
Il 30 giugno la Conferenza dei capigruppo calendarizza la ripresa dell’esame del ddl intercettazioni alla
Camera tra il 25 e il 30 luglio, pur non essendo escluso dal capogruppo del PdL a Montecitorio Fabrizio
Cicchitto uno slittamento dei lavori alla prima settimana di agosto o a settembre. Si apprende, inoltre, dalla stampa che, in seno alla maggioranza, vi era chi – come l’on. Ghedini – ventila l’ipotesi della
presentazione di un provvedimento più agile, volto a recepire l’art. 1 del ddl Mastella, il quale, in particolare, vieta “la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusionedelle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.
Terminata la pausa estiva, compaiono sulla stampa le intercettazioni relative alle conversazioni tra il
Presidente del Consiglio e l’editore e direttore del quotidiano online Avanti! Valter Lavitola, indagato dalla Procura di Napoli – con l’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini – per concorso in estorsione ai danni del Premier. Negli stessi giorni la maggioranza si mostra intenzionata ad accelerare l’iter del ddl
intercettazioni, la cui discussione non era stata ripresa a fine luglio alla Camera.
Agli inizi di settembre compaiono sui quotidiani altre intercettazioni, dalle quali emerge che il Presidente
del Consiglio, a fine agosto, aveva suggerito a Lavitola – nei confronti del quale sarebbe stata emessa il 1°
settembre un’ordinanza di custodia cautelare in carcere – di restare all’estero; notizia a fronte della quale le opposizioni chiedono le dimissioni del Premier.
Pur essendo la ripresa della discussione sul ddl intercettazioni C. 1415-C calendarizzata alla Camera per il 27 settembre, essa viene rinviata alla prima settimana di ottobre e riemergeva la volontà di presentare
un emendamento che riproducesse l’art. 1 del ddl Mastella, più restrittivo in materia di pubblicazione;
opzione che viene definita dall’on. Ferranti (PD) “uno specchietto per le allodole”, dietro al quale si
nasconde la volontà di “affossare uno strumento d’indagine fondamentale per la lotta alla criminalità”.
Negli stessi giorni si apprende dalla stampa che, per accelerare l’approvazione del provvedimento, nonera escluso neppure il ricorso al voto di fiducia. Contestualmente riesplode la polemica sulla c.d. “norma ammazza blog”, volta a estendere l’obbligo di rettifica entro il termine di 48 ore ai “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e i periodici diffusi per via
telematica”; disposizione di cui il Ministro della Gioventù Giorgia Meloni chiede la modifica e rispetto alla
quale veniva presentata una proposta emendativa dall’on. Roberto Cassinelli (PdL).
Il 29 settembre, contro la c.d. “legge-bavaglio”, si svolgeva al Pantheon una manifestazione promossa dal Comitato per la libertà e il diritto all’informazione
mentre i deputati del PdL Manlio Contento ed Enrico Costa si dedicano alla stesura degli
emendamenti al ddl intercettazioni, che avrebbero riguardato, in particolare, i profili del divieto di
pubblicazione, del trattamento sanzionatorio in caso di violazione di esso e dell’obbligo di rettifica, senza
incidere su disposizioni del provvedimento già coperte dalla c.d. “doppia conforme”, cioè già approvate da Camera e Senato.
Negli stessi giorni, contro la c.d. “norma anti-blog”, prendeva posizione anche Wikipedia
che segnalava con un comunicato: “Con le norme del ddl intercettazioni non esisteremo
più. Sarebbe un’inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza”.
Il 5 ottobre, alla Camera, si procede alla votazione delle pregiudiziali di costituzionalità di PD e IdV, che vengono respinte. Lo stesso giorno, in Commissione Giustizia alla Camera, l’on Giulia Bongiorno dichiara di rinunciare all’incarico di relatore e spiega che tale decisione è assunta in quanto il testo approvato dalla Commissione
era stato stravolto dagli emendamenti presentati dai deputati Costa e Contento, sui quali il Comitato
dei nove aveva espresso parere favorevole, nonostante la sua richiesta di ritiro o – in
alternativa – di parere contrario. La stessa propone, quindi, di nominare relatore del provvedimento l’on Costa. Nel frattempo emerge dai quotidiani che il Comitato dei nove aveva espresso parere favorevole anche
riguardo all’emendamento Costa-Contento che prevede la detenzione da 6 mesi a 3 anni, in caso di
violazione del divieto di pubblicazione delle intercettazioni.
L’aula della Camera passa all’esame dell’articolo unico del ddl nel testo della Commissione e degli
emendamenti presentati ma dagli organi di stampa si apprende che la stessa maggioranza sta abbandonando l’idea di porre la fiducia
per ottenere una rapida approvazione del ddl e che si rende disponibile a mediare rispetto al contenuto degli
emendamenti più criticati. Una scelta
finalizzata a non esasperare eccessivamente il clima, considerato l’imminente voto al Senato sul progetto di legge in materia di prescrizione breve, definito un “salvacondotto” per il Presidente del Consiglio nel processo Mills.
Intanto si moltiplicavano le proteste contro il
provvedimento: dal presidio al Pantheon – indetto dalla CGIL – all’appello rivolto al
Presidente della Repubblica da alcuni professori universitari di Bologna, definitisi “Docenti preoccupati”, fino
all’appello firmato da alcune case editrici – Minimum Fax, Laterza e Gems – “in difesa della libera
informazione”.
La goccia che fa traboccare il vaso cade l’11 ottobre, quando viene respinto alla Camera l’art. 1 del Rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato per l’esercizio finanziario 2010 a causa delle numerose assenze (tra le quali spiccano quelle dei Ministri Tremonti, Bossi e Maroni, nonché dell’on. Scajola). Il 12 ottobre, tuttavia, in un vertice a Palazzo Chigi la maggioranza dice di voler proseguire con l’iter del ddl intercettazioni, calendarizzandone l’esame in novembre, per giungere rapidamente all’approvazione di esso, eventualmente anche ricorrendo alla fiducia. Il Presidente del Consiglio, infatti, dichiara: “le intercettazioni devono essere il primo provvedimento che approviamo … soprattutto se andiamo subito alle elezioni voglio stare tranquillo e non voglio paginate di conversazioni sui giornali. Ho bisogno di impostare una campagna mediatica che non deve essere disturbata dalle Procure”.
Sui quotidiani, nel frattempo, continuano a comparire intercettazioni di conversazioni tra il Presidente del
Consiglio e il faccendiere Valter Lavitola: il 18 ottobre viene addirittura pubblicato il testo di una
telefonata nella quale il Premier annuncia di voler fare “una rivoluzione vera”, portando “in piazza milioni
di persone” per “(far) fuori il Palazzo di Giustizia di Milano”.
Il 26 ottobre – complici le tensioni con l’UE, che attende dal Governo italiano “misure urgenti” per lo
sviluppo, e la volontà di evitare votazioni “ad alto rischio” per la tenuta della maggioranza – le
Conferenze dei capigruppo di Camera e Senato non calendarizzano per il mese di novembre l’esame né
del ddl intercettazioni a Montecitorio, né del ddl in materia di “prescrizione breve” a Palazzo Madama.