La Corte distrettuale del Nevada con una sentenza del 17 novembre, ha fatto cadere le accuse mosse dall’editore statunitense Stephens Media contro la comunità online di stampo progressista, Democratic Underground, denunciata un anno fa per aver pubblicato nel forum del proprio portale, cinque frasi coperte da copyright di un articolo del Las Vegas Journal.
La dismissione del caso acquista un’importanza strategica in vista dell’eventuale approvazione negli Usa del Sopa (Stop online piracy act), il discusso provvedimento antipirateria introdotto dalla Us House of Rapresentatives lo scorso 26 ottobre. Il disegno di legge, al momento fermo nella commissione della Camera, avrebbe l’obiettivo di inibire il traffico relativo a contenuti protetti da copyright rendendo responsabili di danno economico i siti ospitanti e dando ampio potere al procuratore federale di turno e alle stesse compagnie detentrici dei diritti, di richiederne l’immediata eliminazione senza neppure arrivare ad un regolare processo.
Se da un lato il provvedimento in questione ha già fatto mobilitare la Rete mediante l’allestimento di iniziative volte a contrastarne l’impianto (la raccolta di firme da parte di organizzazioni come Avaaz o la creazione del sito American Censorchip Day ne sono un esempio), il risvolto positivo avuto dalla vicenda di Democratic Underground potrebbe offrire, dall’altro, un clamoroso precedente. La sentenza del 17 dicembre relativa al processo “DU vs. Stephens Media”, ha fatto prevalere infatti la dottrina del “Fair Use” così come sancita nel Copyright Act statunitense, che attaverso una clausola legislativa, ammette la citazione di materiale protetto da diritto d’autore, a precise condizioni.
Fattori come l’entità trascurabile dell’opera utilizzata (5 frasi di un articolo) e la sua finalità divulgativa (dunque non finalizzata al lucro) sarebbero stati sufficienti a chiudere un caso che ha visto coinvolto il portale Democtatic Underground da circa un anno. Da quando cioè la copyright holding company Righthaven LLC aveva denunciato in prima istanza il sito progressista per conto del gruppo editoriale Stephens Media in base ad un accordo di alleanza strategica.
Quello che non è sfuggito alla Corte Distrettuale del Nevada è il trascorso della compagnia che dal 2010, anno della sua fondazione, ha già presentato centinaia di azioni simili spesso conclusesi con il patteggiamento, preferendo gli imputati accordarsi, piuttosto che sostenere spese processuali troppo onerose. La corte del Nevada ha per giunta riconosciuto l’esistenza di un vero e proprio business messo in atto dalla società detentrice del copyright Righthaven per conto del gruppo Stephens Media, volto a far scattare denunce con richieste di risarcimenti, come in questo caso, ritenute infondate. Secondo le Autorità, la Righthaven avrebbe agito in maniera indebita, al solo scopo di lucrare sui diritti d’autore impugnati.
Questo è il giudizio di una Corte. Ma che cosa accadrà una volta che il Sopa diventerà legge negli Usa, sostituendosi ai normali iter processuali?
Il provvedimento allo stato attuale prevede la detenzione fino a 5 anni di carcere per gli utenti che postino online link a contenuti protetti anche per usi non commerciali, con la “confisca” degli indirizzi IP incriminati (colpiti solo da un sospetto di violazione), sancendo persino il blocco dei finanziamenti ai siti web accusati di infringment, mediante il congelamento dei servizi di pagamento online come Paypal o Mastercard. Una situazione che potrebbe creare un effetto domino non irrilevante, anche al di fuori degli Usa. La maggior parte dei servizi di internet hosting risiede infatti negli Stati Uniti il che non esclude che il provvedimento arrivi a colpire indirettamente anche quei portali web situati fuori della giurisdizione a stelle e strisce, per il solo fatto di ospitare link proprio a quei siti inseriti nella balck list fornita dalle lobby statunitensi.
Manuela Avino
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