Ancora non si conoscono le motivazioni: ma ieri la Corte Costituzionale ha sancito la necessità che il Parlamento si occupi con urgenza delle norme che prevedono sanzioni penali per i giornalisti nell’ambito dell’esercizio della loro professione.
Una decisione per molti versi scontata, il sistema sanzionatorio italiano è chiaramente obsoleto ed orientato a rendere la libertà d’espressione figlia di un Dio minore, rispetto al leader maximo dei poteri nel nostro Paese, quello della magistratura. Ma per quanto scontata potesse essere questa sentenza era lecito attendersi aperture dei giornali, titoli e titoloni, approfondimenti; in gioco ci sono libertà fondamentali previste dalla Costituzione.
Se anche queste non venissero ritenute meritevoli di attenzione, caspita, riguardano proprio la tutela di chi i giornali li scrive, li titola e proprio per queste ragioni rischia di andare in carcere. E, invece, la notizia è passata in sordina, trattata alla stregua di un tamponamento. La verità è che tutti sono d’accordo sulla necessità di riformare il sistema sanzionatorio in tema di diffamazione a mezzo stampa. Nessun partito politico, nemmeno il movimento cinque stelle, ritiene adeguato il carcere per i giornalisti. Ma nessuno ha il coraggio di prendere una vera iniziativa per il timore di inimicarsi la magistratura; d’altronde la censura sulle intercettazioni di Palamara è un fatto, non un’opinione.
Ma la cosa incredibile è che anche i giornali ed i giornalisti, levata qualche iniziativa di facciata dell’Ordine e del sindacato, hanno il coraggio di lanciare una campagna civile per il ripristino di una società civile, per la tutela dei diritti fondamentali. Al solito saranno iniziative di nicchia, lasciate al solito Partito radicale e al solito Sansonetti. Meglio un giornalista in carcere che un magistrato adirato, non si sa mai.
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