SENTENZA CONSIGLIO DI STATO SU “BOLLINO” SIAE: GARANTITI GLI INTERESSI DI POCHI

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Con sentenza del 2 febbraio scorso il Consiglio di Stato ha scritto una pagina importante in una delle tante vicende italiane legate al diritto d’autore nelle quali logica, buon senso ed interesse collettivo cedono, sfortunatamente, il passo ad incomprensibili scelte adottate in nome degli interessi di pochi.
La vicenda in questione è quella legata all’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE, l’odiosa – ed anacronistica – pecetta adesiva in nome della quale si continuano a deturpare le copertine di CD e DVD e, soprattutto, a far confluire milioni di euro all’anno nelle casse della SIAE. Prima di parlare della Sentenza, varrà la pena spendere qualche bit in un breve riassunto delle puntate precedenti a beneficio di quanti le avessero – per loro fortuna – perse.
Nel novembre del 2007, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea accerta l’illegittimità della disciplina italiana in materia di obbligo di apposizione del contrassegno SIAE, in vigore dal 2000 e, conseguentemente, ne dichiara l’inopponibilità ai privati.
In forza di quelle disposizioni di legge, tuttavia, migliaia di imprenditori italiani – e non – negli ultimi sette anni (all’epoca) erano stati costretti a versare alla SIAE una media di dieci milioni di euro all’anno per l’acquisto delle meravigliose pecette adesive.
A seguito dell’intervenuta declaratoria di illegittimità della disciplina impositiva del balzello, qualcuno pensò bene di chiedere alla SIAE di restituire quanto indebitamente incassato.
È vero che il diritto – specie nel nostro Paese – non è una scienza esatta ma è altrettanto vero che basta il buon senso a convincersi che una tassa pagata in forza di una norma dichiarata illegittima ed espunta dall’ordinamento deve essere, semplicemente, restituita a chi l’ha pagata, perché chi l’ha incassata non ha più alcun titolo per trattenerla.
A questo punto, probabilmente, SIAE avrebbe dovuto fare una cosa semplicissima: attivare una procedura per restituire le decine di milioni di euro indebitamente incassate tra il 2000 ed il 2007 e il Governo, attraverso il Ministero dei beni e delle attività culturali, avrebbe dovuto vigilare affinché la SIAE lo facesse, come suggerito – per non dire imposto – dalle regole del diritto e, prima ancora, da quelle dell’etica. Altrove, forse, sarebbe accaduto.

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