A deciderlo è la seconda sezione civile della Corte suprema di legittimità (sentenza n. 870 del 14 gennaio 2014), che accoglie il ricorso di un dentista cui era stata applicata la sanzione della sospensione per tre mesi dall’attività, per avere lo stesso rilasciato numerose interviste in internet e scritto articoli su riviste specializzate con il fine di pubblicizzare lo studio, gestito da una società con nome e immagine che ne richiamavano la tecnologia e la modernità. L’Ordine di appartenenza aveva quindi sanzionato il professionista, reo di aver diffuso una informazione «arbitraria e discrezionale, priva di dati oggettivi e controllabili». L’uomo era stato accusato di essere troppo presenzialista sui media, trascurando di usare la dovuta cautela nel rivolgersi ai potenziali clienti. Ad avviso dei giudici di legittimità il provvedimento di sospensione ha omesso di indicare gli aspetti non veritieri o non trasparenti dei messaggi pubblicitari dell’attività odontoiatrica; inoltre, con il decreto Bersani si è avuta la liberalizzazione della pubblicità dei professionisti, e alcuni Ordini mostrano di non aver recepito adeguatamente il cambiamento. Né, tantomeno, conta che il professionista non abbia preso parte all’istruttoria disciplinare: sul punto, la giurisprudenza applica i propri precedenti per ciò che concerne la deontologia forense, secondo cui « il procedimento disciplinare è sempre più simile ad un processo vero e proprio in cui l’incolpato al pari dell’indagato-imputato, ha un assoluto diritto di difendersi e dunque anche a non dire la verità o a tacere. Ne consegue che il sanitario convocato in sede istruttoria può ben presentarsi, anche per due volte, senza essere per ciò solo sanzionato.
Fonte: www.diritto.it
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