La terza sezione del Tribunale di Palermo ha accolto la richiesta avanzata dalla giornalista pubblicista Maria Letizia Affronti che ha fatto appello al segreto professionale al fine di garantire l’anonimato delle proprie fonti. Il tutto nasce da un reportage curato dalla stessa Affronti in collaborazione con l’inviata della trasmissione di informazione satirica Striscia la Notizia, Stefania Petyx, che ha fatto scattare un’indagine per concorso in abuso di ufficio e truffa a carico del sindaco di Palermo, Diego Cammarata e di un dipendente della società comunale Gesip, presunto “skipper” durante l’orario di lavoro, sulla barca intestata ai figli del primo cittadino.
«Dopo l’indicazione di una fonte, iniziammo le trattative per l’affitto della barca. Mi finsi segretaria di un uomo d’affari» così spiega la giornalista pubblicista davanti ai giudici. E a fronte della pretesa di uno legali degli imputati di rivelare il nome di tale fonte, la Affronti ha chiesto di avvalersi di un istituto, quello del segreto professionale, fino a quel momento applicato nel nostro ordinamento (pur con qualche deroga) solo ai giornalisti professionisti, “salvo i casi in cui essi hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria”. E’ quanto previsto dall’art. 200 comma 3 del Codice di Procedura Penale, sebbene il diritto all’anonimato delle fonti sia riconosciuto senza alcuna distinzione dalla legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti (art. 2 della legge professionale n.69/1963).
Ma facciamo qualche passo indietro. La decisione del Tribunale di Palermo ha avuto soprattutto il merito di mettere in rilievo un’anomalia dell’ordinamento italiano per fortuna già affrontata e risolta nella forma e nella sostanza dalla giurisprudenza europea.
L’art 10 sulla Libertà di espressione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (“Ogni persona ha diritto alla libertà di opinione, di ricevere o di comunicare informazioni senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche”, L. 4 agosto 1955 n.848) così come interpretato dalla corte di Strasburgo (sentenze Goodwin e Roemen) impone già l’osservanza del segreto professionale dei giornalisti (pubblicisti e professionisti) oltre ad ampliare il diritto di cronaca di dare e ricevere notizie. Un obbligo che è stato reso operativo dal Consiglio d’Europa nella raccomandazione R(2000)7 che ha imposto di fatto agli stati contraenti di uniformarsi a quanto previsto dalla Corte di Strasburgo. Tale prescrizione è stata recepita in Italia dalla Corte di Cassazione che con sentenza n.19985 del 30 settembre 2011 ne ha imposto l’osservanza ai giudici nazionali, che dovrebbero quindi applicare la normativa e giurisprudenza europea, avendo quest’ultima carattere prevalente.
Tutto questo per ribadire come quanto disposto dal Tribunale di Palermo sia il punto di arrivo di un processo iniziato in Europa, dove Stati Membri dell’Unione come l’Inghilterra e la Germania in testa, hanno già provveduto a riconoscere il segreto professionale per i giornalisti all’interno del proprio ordinamento. Ciò che negli altri paesi è riconosciuto dalla legge già come un diritto, in Italia è accolto quasi come una “vittoria”, seppur concessa dalla discrezione di un giudice.
La decisione del Tribunale di Palermo funge da importante precedente anche in vista del giudizio nei confronti di altri due giornalisti pubblicisti, Giulia Martorana (cronista de La Sicilia già condannata nell’ottobre scorso a 20 giorni di carcere, pena sospesa) e Josè Trovato (Il Giornale di Sicilia) entrambi accusati dalla Procura di Enna di favoreggiamento personale nei confronti di ignoti per rivelazione di segreto d’ufficio.
Manuela Avino
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