Il ban che Google Play ha sostanzialmente riservato alla App de Il Manifesto ha inquietato, e non poco, i giornalisti che si riconoscono nella sigla di Stampa Romana. Da cui è partita la solidarietà al giornale e una nota, preoccupatissima, sul futuro della stampa al tempo del trionfo del digitale.
La questione è stata sollevata, nella mattinata di ieri, proprio dal quotidiano della sinistra italiana. Che, per tutta la giornata ha tentato di risolvere il problema finendo sballottolata in una burocrazia digitale che nulla, a livello di surreale, ha da invidiare alle “vecchie” storie degli uffici nostrani. Una vicenda che davvero è inconcepibile, con Google che è arrivata a chiedere alla redazione de Il Manifesto di dimostrare di essere un giornale. E, per farlo, di “sganciare” un abbonamento gratuito. La app, nonostante una giornata di lavoro, è rimasta fuori dallo Shop. Proprio all’inizio della campagna di abbonamenti.
Stampa Romana scrive: “A poche ore dalla partenza della campagna abbonamenti la app del Manifesto sparisce da Google play store. In pratica il grande monopolista chiede ai colleghi e agli sviluppatori del manifesto di autocertificare, passando attraverso un lungo format, la loro esistenza come giornale di informazione”.
Una richiesta che definire “strana” è ancora poco: “Un paradossale controsenso per una testata di lungo corso ma che rivela il pericolo di un ruolo che le grandi piattaforme sembrano aver assunto dopo l’assalto a Capitol Hill”. E quindi: “Non più postini di contenuti o vetrine di applicazioni anche giornalistiche ma giudici dei contenuti ospitati. Naturalmente non esiste reclamo al blocco della app se non allo stesso monopolista”.
Quindi la conclusione ineludibile: “È questo un effetto indesiderato di aver consegnato altrove le chiavi di casa ma oggi è una inaccettabile compressione del diritto di informare e di essere informati garantito dalla Costituzione e della libertà di impresa. La nostra solidarietà ai colleghi del Manifesto”.