In un momento di forte crisi della domanda, con un costante calo della diffusione dei quotidiani, fa notizia la decisione di Repubblica di alzare il prezzo del giornale, portandolo da 1,50 euro a 1,70 euro, un incremento di oltre il dieci per cento molto al di sopra dell’indice di inflazione.
In realtà, se si vedesse cosa accade in tutto il settore e non solo ai giornali più grandi, si potrebbe verificare che anche i giornali più piccoli hanno recentemente aumentato il prezzo di copertina. O se, al contrario, si mettesse il naso oltre i confini, si potrebbe verificare come anche i grandi colossi dell’informazione mondiale da un bel po’ hanno aumentato i prezzi dei giornali, cartacei e digitali. La crisi del settore è ormai certificata da studi e analisi che attestano i dati dei bilanci. Un recente paper dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha dichiarato numeri drammatici.
Eppure, l’elasticità della domanda di informazione rispetto al prezzo dei giornali sembra bassa. I lettori, quelli rimasti, continuano a comprare il giornale indipendentemente dal prezzo. Chi studia il settore sa che il paradigma di qualche anno fa, la sopravvivenza solo dell’informazione gratuita, è oggi superato da una nuova visione: la sopravvivenza della sola informazione di qualità; e recenti acquisizioni di giornali negli Stati Uniti dimostrano questa tendenza. Ma per lavorare sulla qualità servono una politica e una società di qualità. Perché con la cultura si mangia e non sono venti centesimi a fare la differenza.
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