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Se i giornali diventano ostaggio della burocrazia

A giorni si attende un maxiemendamento del Governo sul delicato tema dei contributi all’editoria. E da più parti si dice che uno dei sistemi trovati per garantire i fondi sia quello di attribuire la competenza esclusiva dei contenziosi sul tema dei contributi al giudice amministrativo. Ma a questo punto serve un atto di coraggio e mandare ufficialmente tutti gli editori non profit direttamente a gambe all’aria; si dia qualcosa al Manifesto che altrimenti vanno subito sui tetti e si prenda atto che le grandi testate e la politica dell’antipolitica hanno vinto. I contributi se ci devono essere, e non è obbligatorio che ci siano, per carità, mica l’ha detto l’Europa, devono essere previsti da una legge e non possono che solo da questa essere disciplinati. Il diritto soggettivo non è un orpello, come declamato da precedenti capi dipartimenti, che de iure condito e de iure condendo, massacravano il diritto, ma il presupposto stesso del sistema di contribuzione diretto. La degradazione del diritto soggettivo ad interesse legittimo significa trasformare la tutela del pluralismo in gestione amministrativa della dazione di alcuni denari. Nel dispregio non solo dell’articolo 21 della Costituzione, che prevede che la legge renda noti i mezzi di finanziamento della stampa, ma anche dell’autonomia delle stesse imprese editrici, terribilmente sottomesse ad un anomalo giogo della burocrazia governativa, che ben si alimenta del clima del sospetto che rende ogni azione repressiva delle autonomie editoriali legittima. La giurisdizione civile presuppone un diritto al beneficio di legge rispetto al quale nessun burocrate potrà mettere bocca; la giurisdizione amministrativa un interesse, differentemente tutelabile e nell’ambito di un procedimento più formale che sostanziale. Il Governo Monti, all’epoca del sottosegretario Malinconico, addirittura previde che fosse l’esecutivo a scrivere le regole per tutelare il pluralismo, tentativo maldestro e fortunatamente sventato dal buon senso di Paolo Peluffo che ebbe l’intelligenza di trasferire il dibattito in Parlamento ottenendo, finalmente, una discreta legge di riordino del sistema. Ed anche il garantista Bonaiuti nei confronti del settore aveva l’atteggiamento di un rigido adepto ad un mix tra il movimento più stellato della guida Michelin ed il partito dell’indomito Ingroia. Ma il ragionamento è semplice, se la politica non ha il fiato, e non ce l’ha, per elevare il dibattito partendo da considerazioni semplici come la funzione dell’intervento pubblico nel settore, e si sottomette al duplice giogo dei burocrati e del loro falso efficientismo, allora si dica basta ai contributi ma si eviti che un fatto di libertà diventi un castello di carte e di carte bollate.

 

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