Per certi versi, per un partito abituato a veder trattare sulle liste, e sulle cose che contano, persone strutturate, con una lunga storia alle spalle, con una lunga militanza negli organigrammi, con una conoscenza approfondita degli ingranaggi del partito, è più che naturale osservare con diffidenza la scalata di Luca Lotti e il suo essere, al di là del giudizio politico che si può dare su Renzi, il simbolo e l’esempio massimo di quello che Renzi potrebbe fare con il suo Pd: spazzare via le vecchie tradizioni, asfaltare i vecchi rituali, stravolgere i costumi della sinistra e, in buona sostanza, trasformare in una tabula rasa l’ultimo partito d’Italia (non proprio una cattiva idea). Lotti sulle liste sgomita, inizia a costruire rapporti su rapporti, si fa apprezzare, poi arriva in Parlamento, diventa, di fatto, il vero capo corrente dei senatori e dei deputati renziani (è lui che durante le riunioni di corrente, che ci sono state ovviamente, spiega qual è la posizione di Matteo, la linea di Matteo, l’idea di Matteo, ed è lui che spesso, durante le riunioni, prende il telefono e chiede in diretta alcune cose a Matteo). E poi, improvvisamente, quando Bersani si dimette, quando Bindi si dimette, quando Prodi viene respinto, quando Marini viene bocciato, e quando, per alcuni mesi, il Pd si ritrova di fatto senza gruppo dirigente, guadagna una posizione di rilievo nel Partito democratico al punto da essere, nei giorni caldi della selezione del futuro presidente del Consiglio, la persona che per Renzi ha gestito, a Roma, quei momenti delicati, quando ancora sembrava che il sindaco di Firenze avesse possibilità di essere scelto a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta. E poi? Poi arriva Letta, poi arriva il nuovo segretario, poi arriva la nuova segreteria, poi Renzi chiede a Epifani di far entrare Lotti nel gruppo dirigente del Pd e poi, quando il Rottamatore decide di scendere in campo e di prendersi la nuova segreteria, per Lotti inizia una fase nuova. Che non è più solo quella del braccio destro di Renzi. Ma che è quella, in sostanza, del responsabile organizzazione del Pd. Ruolo che formalmente oggi ricopre il bersaniano Davide Zoggia. Ma ruolo che – dopo essere stato occupato nel passato, nei partiti di sinistra, da pezzi da novanta come Massimo D’Alema, Piero Fassino, Giorgio Amendola, Pietro Secchia, Luigi Longo e Giovanni Cervetti – in sostanza da qualche mese ricopre il deputato fiorentino. E già. E’ Lotti che in questi mesi ha lavorato con tutte le anime della mozione di Renzi per stilare le liste per l’assemblea nazionale. E’ Lotti che in questi mesi ha mediato con tutti i dirigenti regionali, provinciali e comunali per trovare la giusta quadra e permettere a Renzi di imporsi tra gli iscritti al congresso. E’ Lotti la persona che Franceschini chiama per parlare della segreteria, per parlare dell’assemblea nazionale, per parlare del futuro Pd (il giorno della chiusura delle liste, poco prima di cena, Lotti, dopo aver compilato le liste, ha mostrato ai suoi collaboratori il suo iPhone con il numero “216” alla voce chiamate perse). E’ Lotti, ancora, la persona che Vasco Errani chiama per discutere di posti alle prossime Europee. E’ Lotti la persona che i bersaniani pentiti chiamano per assicurarsi un posto nel Pd di Renzi. E’ Lotti la persona che i veltroniani chiamano per avere rassicurazioni rispetto alla loro futura rappresentanza. E’ Lotti la persona che i presidenti di regione chiamano quando Renzi, senza pensarci troppo, dice, per esempio, che bisogna privatizzare Ansaldo (e via con la telefonata terrorizzata di Claudio Burlando). E’ Lotti, infine, la persona che i renziani compulsano per sapere quello che vorrebbero sapere su Renzi ma non hanno il coraggio di chiedere a Matteo (che vuole fare? Vuole governare con Enrico? Vuole far saltare tutto? Come ci dobbiamo comportare? Cosa dobbiamo dire?).
Lotti, in buona sostanza, in questa veste di vice ruspa, di vice virtuale di Renzi, di Richard Cunningham dei futuri possibili Happy Days del Pd, è diventato un traduttore simultaneo del renzismo. E oggettivamente in un Pd Lost in translation – che nonostante le molte conversioni sulla via di Firenze fa ancora una fatica bestiale a comprendere la lingua di Renzi – un renziano che spiega ai renziani e agli anti renziani cosa voleva dire veramente Matteo quella volta lì si capisce che possa tornare utile. Davide Zoggia, bersaniano di ferro, attuale responsabile organizzazione del Pd, riconosce che molti nel Pd osservano Lotti come se fosse il sacerdote massimo del renzismo, l’unico in grado di svelare il vero senso del verbo renziano, e riconosce anche che finora, anche durante l’esperienza Bersani, i criteri scelti per selezionare le persone da piazzare alla guida della macchina dei partiti di sinistra sono sempre stati diversi. E dovevi avere una lunga storia di politica alle spalle. E dovevi avere molto esperienza sul campo. E dovevi avere una certa età. E dovevi aver fatto tutta la trafila. E dovevi, insomma, avere pochi capelli in testa e molto pelo sullo stomaco. “Mi trovo su una sponda politica lontana rispetto a quella di Lotti”, dice Zoggia, che Lotti, oltre che in segreteria, lo ha conosciuto giocando sui campi della Cecchignola, a Roma, con la nazionale parlamentari, dove Lotti (che ha un passato in Eccellenza, che tifa da una vita Milan e che sperava che alle ultime elezioni Berlusconi candidasse Paolo Maldini) sgambetta ogni martedì sera con altri venti parlamentari guidati da capitan Daniele Marantelli e da mister Picchio De Sisti. “Effettivamente – continua Zoggia – un ragazzo di trentuno anni a cui viene dato tutto questo potere è una novità. Ma ciò che mi fa ben sperare per il futuro è che con Lotti è successa una cosa che non capitava nemmeno ai tempi di Pier Luigi. Oggi c’è più gerarchia. C’è una gestione quasi militare. Lotti, quando parla, parla per Renzi. I suoi predecessori, invece, quando parlavano erano investiti di un’autorità diversa, più debole. Finiva sempre che alla fine si tornava a parlare con Bersani. Oggi non succede. E un po’ di ordine devo dire che oggi al Pd serve, eccome se serve”.
Come Renzi, però, Lotti ha sempre avuto una certa e inconfessabile allergia per le stanze del Pd e pur essendo da alcuni mesi già in segreteria di Epifani (che indovinate chi chiama quando vuole chiedere qualcosa a Renzi?) nella sua stanza al secondo piano di Largo del Nazareno ci sarà entrato solo un paio di volte. Come Renzi, poi, anche Lotti, se il Rottamatore dovesse vincere domenica le primarie del Pd, non si limiterà a fare il vicesegretario ombra del Partito democratico ma farà almeno altri due lavori: il deputato del Pd, da un lato, e il consigliere comunale di Montelupo dall’altro. Montelupo, per Lotti, è come Firenze per Renzi e in questi anni, nonostante gli altri incarichi ricevuti, è rimasto nel suo vecchio consiglio comunale e, casi della vita, durante l’ultima seduta cui ha partecipato, quella di lunedì scorso, si è ritrovato a dover illustrare al comune le nuove disposizioni del governo in materia di Imu. E, ovviamente, ha dovuto difendere a spada tratta il governo Letta. “Luca – racconta Marco Pucci, compagno di scuola di Lotti, suo compagno di banco in consiglio comunale a Montelupo, segretario locale del Pd e inventore, insieme ad alcuni vecchi amici di Lotti (“Nocio” e “Ciancio”) del soprannome “Lampadina” – vive con Matteo un rapporto simbiotico e un po’ come Renzi, nel suo piccolo, qui da noi è sempre stato visto dai suoi avversari nel partito, quelli che avevano un colore politico diverso dal suo, come se fosse una specie di bambino che mangiava i comunisti…”. Il Pd però, naturalmente, non è Montelupo. I comunisti non hanno mai smesso di mostrare i loro denti affilati. E allora “Gianni Lotti”, il Lampadina, il vice ruspa, potrà anche essere il simbolo estremo del matteorenzismo, ovvero di quella voglia irresistibile che potrebbe avere il sindaco di Firenze, alla guida del Pd, di fare come gli pare, di rivoltare il Pd come un calzino, di radere al suolo il vecchio partito, di trasformarlo in una specie di Forza Renzi, o Forza Eataly, come dicono con malizia alcuni bersaniani di spirito. E Lotti potrà essere anche il simbolo estremo della renzizzazione del Pd. Della trasformazione del fiorentino nella prima lingua del Partito democratico. Della leopoldizzazione del Nazareno. Della rottamazione del vecchio apparato. Della fine dell’epoca in cui per guidare il Pd, per guidare la macchina, per avere le chiavi di casa, dovevi essere grigio al cento per cento, possibilmente emiliano, possibilmente di Piacenza, possibilmente di famiglia, possibilmente figlio dell’usato sicuro, possibilmente figlio della vecchia guardia, possibilmente figlio di una dinastia di politici navigati. Lotti potrà essere tutto questo. Ma per farlo servirà anche a lui una grande legittimazione. Un grande risultato di Renzi. Una partecipazione di massa alle primarie. Se le cose non andranno così il bambino che da piccolo ha imparato ad azzannare i comunisti dovrà stare attento e ricordarsi che i canini dell’apparato, in fondo, non hanno mai smesso di mangiare quei mocciosi che ogni tanto si mettono in testa, con i loro ricciolini, di rottamare il vecchio Pd con tutte le sue cinquanta sfumature di grigio.
Fonte : Il Foglio quotidiano 5 dicembre 2013
Link: http://www.ilfoglio.it/soloqui/20935
Facendo seguito alla nostra circolare n. 25/2024 segnaliamo che con Decreto del Capo del Dipartimento…
Fumata bianca ad Askanews: l’assemblea dei giornalisti dà il via libera alla proposta di prepensionamenti.…
Facendo seguito alla nostra circolare n. 25/2024 segnaliamo che con Decreto del Capo del Dipartimento…
Le cose cambiano, tutto scorre direbbe Eraclito. Sono passati meno di cinque anni dal 2020,…
Le associazioni degli editori europee sono pronte a ingaggiare battaglia contro Google. Per il caso…
Google “spegne” la stampa europea. C’è un test, che fa da preludio a una precisa…