Cos’hanno in comune la nipote di Benedetto Croce, un vicedirettore del Tg1 e i legali rappresentanti di Corriere dei Mezzogiorno e Rai? «Hanno realizzato un’ampia e articolata architettura diffamatoria di Roberto Saviano, sia sul piano etico sia sul piano personale e professionale», una «campagna diffamatoria di vasta portata e reiterata attuazione» che ha «compromesso l’attività professionale», ha fatto «diminuire le vendite dei libri» e ha provocato anche una riduzione «delle partecipazioni televisive».
Questo, almeno, sostiene l’atto di citazione (firmato dagli avvocati Giovanna Astarita e Antonio Nobile) con il quale lo scrittore chiede di essere risarcito per le contestazioni mosse all’attendibilità di un suo racconto su Benedetto Croce dalla nipote del filosofo, Marta Herling. La lettera fu pubblicata sul Corriere del Mezzogiorno, e diede vita a un dibattito che fu ripreso nei giorni successivi da diversi quotidiani e telegiornali (Corriere della Sera, Libero, Giornale, Riformista, Tg1, La7). Saviano, in particolare, aveva raccontato, prima in tv e poi nel libro Vieni via con me, che al filosofo – rimasto prigioniero sotto le macerie nella sua casa di vacanza a Casamicciola durante il terremoto del 1883 – il padre aveva suggerito di offrire centomila lire (all’epoca una cifra astronomica) a chi l’avesse salvato. Una versione la cui veridicità fu contestata dalla nipote. E che nei giorni successivi portò Saviano a intervenire per indicare due fonti diverse: un articolo dello sceneggiatore Ugo Pirro del 13 aprile 1950 (pubblicato su Oggi) e un libro scritto da Carlo Del Balzo. Entrambi, però, così come un articolo apparso sul Corriere del Mattino del 31 luglio 1883 (“Si racconta che…”), seguivano una pista che avrebbe rimandato a fonti anonime. E, da qui, le critiche di Marta Herling, che nella lettera faceva notare come l’unico testimone oculare di quell’episodio – lo stesso Benedetto Croce – nel libro Memorie delta mia vita (10 aprile 1902) non avesse fatto alcun riferimento a quell’episodio. Dunque perché credere a Pirro e Del Balzo e non al racconto dello stesso filosofo?
Quella che sembrava una polemica “storica”, però, è diventata materia da tribunale civile, perché Saviano ha chiesto un maxi-risarcimento di 4 milioni e 700 mila euro a Marta Herling (presidente dell’Istituto italiano per gli studi storici), Giorgio Fiore (legale rappresentante della società che edita questo giornale), Gennaro Sangiuliano (vicedirettore del Tg1) e Rai (nella persona del suo legale rappresentante pro tempore).
A leggere l’atto di citazione, 29 pagine più 23 allegati, si scopre infatti che quella su Croce non è stata una disputa storiografica, ma «una campagna diffamatoria di vasta portata e reiterata attuazione», nella quale «i convenuti incorrono in dolose omissioni, compiono evidenti forzature e attribuiscono allo scrittore, altrettanto dolosamente, inesistenti errori». E, soprattutto, lo fanno «ciascuno con propri comportamenti autonomi». Cioè c’è stata una «campagna diffamatoria», ma i diffamatori non s’erano neppure messi d’accordo e ognuno è andato per conto suo. Dubbi (a Saviano) sorgono soprattutto sulla tempistica della lettera di Marta Herling al Corriere, giunta «in maniera del tutto inaspettata, poichè la signora Herling nulla aveva avuto da eccepire all’indomani della trasmissione del monologo recitato dallo scrittore durante la fortunata trasmissione televisiva Vieni via con me. La puntata oggetto di interesse, quella del 29 novembre 2010, era stata seguita da circa dieci milioni di spettatori». Insomma, dal «non poteva non sapere» al «non poteva non vedere» (la trasmissione).
Sostenere poi che fosse falsa la ricostruzione secondo la quale nel 1883 il padre suggerì a Croce di «offrire» centomila lire per farsi soccorrere, è una cosa che «ha causato allo scrittore un nocumento di enormi dimensioni». E, per questo, merita di essere risarcito. «La diminuzione patrimoniale dell’offeso si è verificata nel caso di specie con palese evidenza, essendo stato cagionato un danno a Saviano sia in termini di vendite dei suoi libri, sia in termini di diminuzione delle partecipazioni televisive».
Insomma, la polemica su Benedetto Croce, il contenuto, i titoli e i sottotitoli utilizzati «si sono ripercossi negativamente sull’immagine dello scrittore Roberto Saviano». Anzi, molto peggio: «Hanno compromesso l’attività professionale dello scrittore».
(Post scriptum. Gli avvocati citano, a sostegno della tesi di Roberto Saviano, una sentenza della quinta sezione penale della Corte di Cassazione dei 9 marzo 2006 nella quale i giudici ricordano «l’obbligo di esaminare, controllare e verifica-re quanto oggetto della narrativa al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l’affidamento riposto in buona fede sulla fonte». Ecco, appunto: non è sufficiente affidarsi a Pirro e Del Balzo).