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Il Vaticano chiede maggiori tutele per i “giornalisti di guerra”

Il Vaticano chiede maggiori tutele dei giornalisti impegnati in scenari di guerra. “Non ci sono scuse per le parti in causa che non rispettino i reporter”, queste le dichiarazioni della Santa Sede

“Non ci sono scuse per le parti in causa di un conflitto che non rispettino e proteggano i giornalisti, poiché i media sono al servizio del bene comune e l’informazione è uno dei principali strumenti della partecipazione democratica, un mezzo fondamentale e necessario per la comunità umana”. È quanto ha affermato monsignor Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenendo al dibattito sulla tutela dei giornalisti negli scenari di guerra, organizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. “I giornalisti di guerra – ha sottolineato Auza, come riporta Radio Vaticana- offrono un’ancora di salvezza a coloro che sono intrappolati dietro le linee nemiche o colpiti dal fuoco incrociato. La rilevanza di tali reporter continua a crescere nel mondo attuale, sempre più interconnesso. Il progresso tecnologico, infatti, rende le comunità di tutto il mondo smaniose di ricevere notizie costanti dalle zone di guerra. Ma se ciò è un bene per la promozione della solidarietà globale e degli aiuti umanitari nei confronti delle vittime, allo stesso tempo rappresenta una difficoltà quando si tratta di valutare l’obiettività dell’informazione ricevuta”. Infatti, spiega il diplomatico vaticano, “le parti coinvolte nel conflitto non possono ritenersi fonti affidabili di un’informazione obiettiva. Ed è qui che emerge la fondamentale importanza dei giornalisti dediti alla verità ed alla promozione del bene comune. Ed è sempre qui che si comprende il grave rischio che uno dei contendenti voglia specificatamente colpire un giornalista fedele al suo dovere di cronaca obiettiva. Ma anche i cronisti devono fare la loro parte, nelle situazioni in cui il dovere di essere obiettivi si scontra con il rispetto dei valori culturali e del credo religioso di una popolazione coinvolta in guerra”.

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