Illuminata dalle luci degli studi tv, la testa di Sallusti rischia di abbacinarci e mandarci fuori strada. La norma per la quale ci stiamo battendo non è l’ennesima legge ad personam, in un Paese che gia ne è stato sfigurato. E’ la legge che stiamo chiedendo da anni, e che si dovrà applicare ai tanti colleghi meno noti che il carcere per diffamazione a mezzo stampa lo rischiano senza che ciò diventi caso nazionale (solo negli ultimi mesi, è successo all’“Alto Adige” e al “Centro” abruzzese).
Varrà anche per Sallusti, se verrà approvata? Sì, varrà anche per lui: le questioni di principio hanno questo di bello, che non si applicano a giorni alterni. Il punto non è Sallusti, che pure fa di tutto per rendersi indifendibile. Il punto è che per la diffamazione il carcere non deve essere ammesso mai: come ci ripetono da anni tutti gli organismi internazionali attenti alle questioni di libertà, dal Comitato per i Diritti Umani dell’Onu, all’Osce, alla Corte Europea di Strasburgo.
Lo ribadiamo anche oggi, senza il minimo timore di cadere nella trappola mortale del corporativismo, della difesa di casta. Perché non stiamo affatto chiedendo che il giornalismo possa giovarsi di un regime speciale di impunità, che i Sallusti, i Farina, i Feltri possano colpire a mano libera. Sollecitiamo da tempo una riforma che imponga a chi sbaglia una rettifica immediata e vera (se il titolo e il pezzo sbagliati sono in prima pagina, le scuse non possono essere nascoste a pagina quaranta), sanzioni economiche, e soprattutto la sospensione dall’attività professionale, e nei casi più gravi perfino la radiazione dall’Albo. Non stiamo parlando di un radioso futuro tutto da costruire. Già oggi possiamo portare – ai cittadini che sono stati al nostro fianco nelle battaglie per il diritto-dovere ad un’informazione corretta – la prova che non facciamo scattare una malintesa solidarietà professionale: dopo il caso Boffo, Vittorio Feltri è stato sospeso per mesi dall’Ordine, anche su richiesta di tanti di noi che giudicavano vergognosa l’operazione mediatica ai danni dell’allora direttore di “Avvenire”. E Renato Farina – lo stesso coprotagonista delle vicende di questi giorni – era stato di fatto costretto dall’Ordine a dimettersi, per gravi violazioni della legge professionale, un attimo prima che arrivasse a suo carico la radiazione. Nessuno di noi si è strappato le vesti: abbiamo anzi considerato queste decisioni come un doveroso segno di rispetto verso i lettori e verso i tanti giornalisti per bene, quelli che non mettono in atto pestaggi mediatici e non trafficano coi servizi segreti. E per rendere ancora più incisiva l’azione di sorveglianza deontologica guardiamo con favore alla proposta di un Giurì per la lealtà dell’informazione, rilanciata negli ultimi giorni da un gruppo trasversale di deputati (Pisicchio, Giulietti, Carra, Mazzuca, Morra, Adinolfi, Brugger, Napoli, Zazzera), che potrebbe assicurare pronto e rigoroso rispetto dei diritti dei cittadini lesi da un cattivo giornalismo.
Paghi anche Sallusti, dunque, e duramente. Ma il carcere no. Non perché è Sallusti, che del ruolo del martire non ha il fisico. Ma perché nei Paesi civili il carcere per i reati di parola non è ammesso (non sto parlando di opinioni: nell’articolo oggetto della vicenda c’erano notizie false, non solo opinioni).
Il convegno che faremo martedì prossimo, 2 ottobre, in Fnsi, non è una improvvisazione costruita in 48 ore, “sull’onda dell’emozione”. E’ la seconda puntata (a dir poco) di una iniziativa che ebbe la sua prima parte nel novembre 2010, e che fu animata tra gli altri da Roberto Morrione e da Oreste Flamminii Minuto (gli atti li ha pubblicati Libera Informazione). Il ministro Severino verrà finalmente a prendere atto che anche in tema di diritti c’è uno “spread” da colmare tra l’Italia e l’Europa, e presenterà le sue proposte. E’ un’occasione da cogliere, oppure – poiché ne beneficerebbe anche Sallusti – diciamo a lei e alle forze politiche che la riforma della diffamazione non ci interessa più?