L’argomento che è stato intavolato oggi pomeriggio durante l’incontro promosso dall’Uspi per la serie “Mercoledì da editori” è di quelli scottanti: il contributo ai giornali. Ai relatori s’è affidato un compito di quelli tanto affascinanti quanto difficili: scardinare uno dei più tenaci luoghi comuni del dibattito pubblico italiano, quello che vorrebbe identificare come uno sperpero di denaro il sostegno ai giornali italiani.
Al tavolo (virtuale) dell’incontro social c’erano Francesco Saverio Vetere Segretario Generale Uspi, Sara Cipriani Vice Segretario Generale Uspi, Roberto Paolo Presidente File, Chiara Genisio Vice Presidente Fisc e Luca Pavarotti Presidente Cooperativa Editoriale Giornali Associati. Tutti i relatori hanno concordato sul fatto che ai giornali, rispetto a tante altre imprese, vengono richiesti e imposti parametri tanto stringenti e rigidi che, come ha affermato Roberto Paolo, “mettere in gerenza la scritta ‘questa testata usufruisce di contributi pubblici’ è motivo di orgoglio”. C’era inoltre da sottolineare l’ovvio che, essendo tale, spesso se ne rimane ben nascosto nelle pieghe dei dibattiti: la mano dello Stato aiuta imprese in ogni settore dell’economia, dall’agricoltura fino all’automotive. Perché non dovrebbe aiutare la stampa che, tra l’altro, svolge un servizio pubblico fondamentale la cui utilità è stata unanimamente riconosciuta durante tutte le fasi dell’emergenza coronavirus?
L’ultimo tabù, poi, è caduto quando gli editori hanno convenuto che, grazie alle “riforme” di Crimi (che ha messo lo stop ai contributi) solo parzialmente mitigati dai rinvii di Martella, quelle giornalistiche rischiano di essere le uniche imprese impossibilitate ad accedere ai prestiti bancari per far fronte al Covid e alle sue conseguenze. Senza contributi, infatti, molte testate rischiano il rosso e sono davvero pochi i banchieri disposti a scommettere su chi non potrà restituire il prestito erogato.
Il tema, dunque, è stato messo sul tavolo. Ora è il momento di spiegare ai cittadini perché e per quali ragioni i contributi all’editoria non sono sprechi di Stato ma investimenti seri e importanti. Dare concretezza e solidità ai valori del pluralismo, dell’informazione.
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