L’ultima puntata di Presadiretta, in onda su Raitre lunedì scorso e dedicato alla vicenda del maxi-processo Rinascita Scott contro la ‘ndrangheta, ha fatto infuriare – e di brutto – gli avvocati calabresi. Che non ci stanno a subire quello che hanno definito quale “attacco scriteriato ai principi costituzionali” e rifiutano, rispedendola al mittente, la “condanna preventiva” che, secondo le Camere penali calabresi, sarebbe stata emessa dal “tribunale del popolo” mediatico.
Un intervento lungo e articolato, quello dei giuristi calabresi, che ha respinto le ricostruzioni della trasmissione di Riccardo Iacona. Nella nota, gli avvocati hanno scritto: “Non occorreva l’indovino Tiresia (secondo la mitologia greca reso cieco dagli Dei affinché non profetizzasse argomenti “segreti”) per immaginare quello che sarebbe avvenuto da lì a poco nella trasmissione televisiva del servizio pubblico “presa diretta”: il processo Rinascita Scott è stato celebrato dalla Tv di Stato (Rai Tre) con la condanna anticipata di tutti gli imputati”.
Quindi hanno aggiunto: “L’attacco scriteriato e indiscriminato alla presunzione d’innocenza e ai principi costituzionali del giusto processo non ci sorprende più e, ancor di meno, ci meraviglia che il tribunale del popolo, imbastito abilmente dall’inchiesta giornalistica, si sia espresso per mezzo della televisione pubblica. Attraverso la capziosa e partigiana rappresentazione di un processo – che solo sulla carta deve ancora celebrarsi – è stata rivendicata la necessità che gli “orpelli” del diritto processuale penale siano smantellati attraverso una scenografica rappresentazione delle istanze punitive della pubblica accusa”.
E dunque: “Le camere penali calabresi avevano avvertito e denunciato il rischio che la diffusa delegittimazione della funzione difensiva – frutto dell’abusata assimilazione tra l’avvocato e le ragioni del proprio assistito – risultasse “plasticamente” raffigurata dalla “colossale” macchina giudiziaria messa in piedi dalla Procura di Catanzaro, senza alcuna tutela per le istanze a presidio delle libertà individuali. Si è già detto: ”emerge lampante come un processo elefantiaco a carico di 480 imputati si risolva “fisiologicamente” (sia consentito l’ossimoro) in un rito sommario nei confronti di “categorie criminologiche” assistite dalla presunzione di colpevolezza. Il resto è teatralità”.
Affermazioni ritenute inaccettabili dalle Camere penali calabresi: “Da avvocati penalisti abbiamo il dovere di resistere alle barbarie del processo virtuale, mediatico, anticipato, capace di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto i giudici che compongono il Tribunale del processo Rinascita Scott. Avevamo paventato – a ragione – che la spettacolarizzazione dell’inchiesta potesse nuocere alla dignità e alle sorti processuali dei soggetti coinvolti. Oggi si ha la certezza che la sovraesposizione degli atti d’indagine, interpretati come nelle migliori fiction dai loro stessi protagonisti, verranno valutate come prove della responsabilità penale dei singoli”.
Il rosario di accuse si sgrana: “Violando la riservatezza e la salvaguardia della “verginità” cognitiva dei giudici, sono stati escussi testimoni, riprodotte intercettazioni (senza il filtro del perito), divulgate immagini, esibiti atti ripetibili d’indagini, il tutto nell’assenza assoluta di un valido contraddittorio. A chi interessa (non si è fatto minimo accenno nella trasmissione) se buona parte (circa 200) delle misure cautelari applicate siano state successivamente censurate nelle sedi giudiziarie del gravame. Sotto lo scudo del diritto di cronaca si è materializzato un attacco cruento ai principi cardinali del sistema penale, le informazioni somministrate senza il filtro di un interlocutore capace di offrirne un’analisi corretta all’opinione pubblica”.
Quindi l’assalto ai media: “La libertà personale, la tutela dell’immagine, la difesa della dignità dei soggetti inquisiti, il diritto a un equo e giusto processo, tutti sacrificati sull’altare di un giustizialismo propagandistico e inquisitorio, degno di una TV di regime. Assistiamo, oramai assuefatti, all’abuso costante del diritto-dovere di informare da parte dei media, i quali, pur di perseguire l’audience e il successo editoriale, prestano il fianco alle logiche di un potere illimitato nelle mani di un tiranno che tratta i propri cittadini come sudditi. Una sorta di realtà “parallela” frutto sapiente di una sceneggiatura montata ad arte dalla testata giornalistica pubblica”.
Non manca l’appello al ministro della Giustizia Marta Cartabia: “Il grido di dolore delle camere penali calabresi è ben condensato nelle sapienti parole che il Guardasigilli ha pronunciando solo due giorni fa in commissione giustizia alla Camera dei Deputati e con le quali il Ministro Marta Cartabia ha riaffermato, a questo punto anche lei inutilmente, il “no” al processo mediatico, denunciando “la sponda” che gli inquirenti cercano sui media per amplificare la forza delle accuse. Ed allora, i giudici saranno chiamati a valutare fatti già accertati, a giudicare soggetti già condannati, a valutare prove già assunte”.
Infine la durissima conclusione: “L’uso distorto del diritto d’informazione, l’annientamento delle garanzie processuali, la violazione sistematica del diritto di difesa, non indeboliscono, ma all’opposto rafforzano la criminalità organizzata, amplificando logiche e spinte antistatali che trovano nuova linfa nell’animo di coloro che non credono più che l’imputato abbia il diritto di difendersi nel processo e nel rispetto delle regole. Le Camere Penali Calabresi, nel ribadire il momento drammatico che l’esercizio del diritto di difesa vive sul proprio territorio, propongono alla Giunta di voler proclamare lo stato di agitazione dell’avvocatura penalista, accompagnata da iniziative di carattere politico sull’intero territorio nazionale”.
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